ALLA FRONTIERA

ALLA FRONTIERA

di MIRT KOMEL


China Mieville, nel suo romanzo “The City and the City”, immaginò due città gemelle, Besźel “dell’Europa orientale” e UI Qoma “del Medio Oriente”, in realtà due città gemelle, ma separate da un confine che funziona come una sorta di velo confuso – una “cortina di ferro”, se si vuole – sorvegliata dall’organizzazione segreta della polizia chiamata Breach. La caratteristica principale di questo confine è che gli abitanti di entrambe le città sono abituati fin dalla giovinezza a “non vedere” reciprocamente l’altra città e i suoi abitanti, poiché tutto ciò che vedono viene virtualmente cancellato dal loro campo visivo.


Bene, questa è, almeno secondo me, esattamente la situazione in cui vivevamo entrambe le Gorizie non solo prima della caduta della “cortina di ferro” che separava l’Europa occidentale da quella orientale e quindi, in linea ideologica, il capitalismo dal comunismo, ma anche successivamente e persino oggi, quando gli abitanti delle due città sembrano essere abituati a “non vedere” reciprocamente le città e i loro abitanti, cancellandoli mentalmente, proprio come gli abitanti del romanzo distopico “The City and the City”.


Marcel Štefančič jr., nel suo libro “Slovenski sen”, nell’articolo intitolato “La frontiera più aperta”, ha scritto che se vogliamo capire come è sorto questo confine ultimo, la “cortina di ferro”, dobbiamo “ricordare il film italiano ‘Cuori senza frontiere’ diretto da Luigi Zampa nel 1950. Churchill pronunciò la frase ‘cortina di ferro’ nel 1946 da un lato del mondo, l’anno successivo, nel 1947, in un idilliaco villaggio carsico al confine italo-jugoslavo, dove tutti vivevano in armonia e fratellanza, gli alleati, i vincitori della Seconda Guerra Mondiale, tracciarono una linea bianca attraverso il villaggio. Questo è tutto. Non serve altro. Tracci una linea bianca. Così poco separa il comunismo dal capitalismo e il capitalismo dal comunismo.”


Alcuni anni fa, durante la pandemia, quando il confine è stato nuovamente chiuso, l’artista italiano Salvatore Cali, ospite alla Carinarnica, ha ideato una performance in cui ha spargere la farina italiana sulla strada dal lato italiano del confine e la farina slovena dal lato sloveno, poi ha filmato come le automobili e i ciclisti distribuivano la farina da entrambi i lati in modo che si mescolasse insieme. Bene, credo che questo sia il vero approccio per sfumare il confine tracciato con il gesso, cancellando le divisioni.


Hegel ha sviluppato una filosofia dell’identità in molti dei suoi lavori, che penso sia ancora rilevante, soprattutto per questa riflessione. La filosofia tradizionale dell’identità opera affermando la semplice formula “io=io” e implicitamente accetta che “io non è l’altro” – la filosofia hegeliana dell’identità sovverte le cose affermando che l’identità, con cui “io” si distingue dall’esterno “altro”, implica già una distinzione interna, un limite interno che “io” pone dentro di sé.


Non è questa la nostra situazione? Stiamo cercando ciò che ci unisce, ma non vediamo che abbiamo creato la differenza all’interno di ciò che un tempo era uno spazio comune, multiculturale e multi-etnico, come quello che ci offriva l’antica Austria-Ungheria, dove Gorizia era già unificata e diverse etnie coesistevano. Quello che cerchiamo è stato perso da tempo, proprio come l’oggetto a di Lacan o l’oggetto-ragione-desiderio: ciò che inseguiamo come oggetto del desiderio è qualcosa che è già stato da tempo perduto.

E quale è la soluzione hegeliana al problema dell’identità? Il giudizio infinito, che afferma che l’identità è in realtà l’identità di “identità e non-identità”, l’unità nella diversità.


Per concludere, tornando all’inizio: l’ispettore Tyador Borlú, protagonista del romanzo “The City and the City”, deve attraversare il confine fittizio tra le città fittizie per indagare sull’omicidio di Mihalia Geary, e l’indagine lo porta a una leggenda su Orciny, una terza città utopica che si dice esista tra le due distopie, e che si rivela essere sotto il controllo dell’organizzazione segreta della polizia chiamata Breach, che sorveglia i trasgressori.


Quello di cui abbiamo bisogno, in breve, non è una qualche utopia di una “terza città”, ma l’identità hegeliana di “identità e non-identità”, l’unità nella diversità che ci consentirebbe di “non vedere il non-vedere”, di “dimenticare il dimenticare”, superando la ancora esistente, anche se arrugginita “cortina di ferro”, in modo che la linea disegnata col gesso possa diventare farina, che si mescolerà facilmente, non attraverso un qualche salto mentale, ma attraverso la pratica, semplicemente attraversando il confine nella pratica.