IL D’ANNUNZIO DEL GENIALE BEZINOVIĆ

IL D’ANNUNZIO DEL GENIALE BEZINOVIĆ

di ANDREA PICCO

 

Servivano una buona dose d’ironia e uno sguardo satirico per demolire in un’ora e mezza tutta la retorica fascista, di cui si nutre ancora oggi la destra al governo di città regioni e Paese intero. Igor Bezinovič, regista croato di Rijeka autore di “Fiume o morte!”, utilizza il cinema e il metacinema – ossia il cinema che parla di sé stesso, svelando i meccanismi che stanno dietro il fare cinema – per restituire il Vate, costruzione retorica e propagandistica di D’Annunzio eroe nella fantomatica “impresa di Fiume”, alla sua dimensione reale, ovvero quelle di un esaltato cocainomane che è capitato che sapesse anche scrivere. Così facendo, inevitabilmente ridicolizza un modo di fare: la creazione del mito di destra del Super uomo, del “conquistador”, che siano terre o donne poco importa. Bezinovič parte da una domanda: cosa resta di D’Annunzio oggi a Fiume? Cosa ne sanno i fiumani di quel che successe poco più di cent’anni fa? Il film parte quindi come un documentario, con i cittadini di Fiume che rispondono spesso di non avere idea di chi sia quel tizio a cui è intitolata una scuola, o una via, o un edificio della città. Qualcuno sa che sì, era un fascista. Le interviste sono però anche il pretesto per avvicinare le persone e chiedere loro di aiutarlo per il suo vero obbiettivo: Bezinovič cerca attori per rimettere D’Annunzio e la sua “impresa” davanti a una cinepresa, come metaforicamente è stato fatto per creare il suo mito. Ecco che quindi per interpretare il Vate va a caccia di concittadini la cui unica caratteristica essenziale sia essere scarsocriniti. Da qui in poi, documentario e fiction, cinema e metacinema si intrecciano, grazie anche a una voce narrante in dialetto fiumano che via via racconta come andarono effettivamente le cose cent’anni fa, ossia come sia stato visto D’Annunzio dai fiumani dell’epoca. Utilizzando foto e immagini girate durante i due anni di “Regno” del poeta – D’Annunzio si fece scattare, durante la sua permanenza a Fiume, oltre diecimila fotografie, tanto per dire come si costruisce un eroe – l’impresa di Fiume è ripercorsa dalla partenza a Venezia in auto, passando per la sosta a Ronchi – che diventerà dei Legionari in quel periodo – per la notte, fino all’arrivo alle porte di Fiume alla testa di un convoglio di camion di soldati e allo scontro con l’esercito italiano che gli sbarra la via, al rifiuto dell’alt e all’arrivo in città. Solo che, se i costumi sono dell’epoca, così non è per l’auto del Vate, una cabrio rossa fiammante, per i camion dei soldati, per i quali sono stati assoldati autotrasportatori veri e propri con i loro mezzi attuali, per i vari D’Annunzio che si susseguono, con accento spiccatamente slavo. Quello che dice no all’alt del Regio esercito, ad esempio, è un D’Annunzio che nella vita è il cantante di un complesso rock. Dal primo piano in cui lo si vede nei panni del Vate, una carrellata all’indietro svela il set e sulla sinistra c’è la sua band pronta ad accogliere il “manipolo di eroi” con tanto di batteria e chitarra elettrica. Tutti questi salti da un piano all’altro, dalla finzione alla finzione della finzione, abilmente orchestrati da Anton Spazzapan che ha curato la scenografia, non fanno altro che mettere sotto la lente del ridicolo la retorica italiana su D’Annunzio, svelandone l’originaria “fiction” messa in scena per crearne l’immagine di eroe. Mussolini imparerà ben presto il grande valore dell’immagine, il culto del personaggio che D’Annunzio aveva creato per sé negli anni in cui il fascismo nasceva. Retorica che è arrivata fino ad oggi, intatta, se al Vate vengono dedicate statue, a Trieste per esempio, o si commemora ogni anno la sua impresa, a Ronchi dei Legionari. Il film la seppellisce con una risata, anzi con un sorriso, quello di chi ha capito il trucco e lo ribalta, per far cascare il castello di carte. In fin dei conti, il racconto della storia si può piegare alle proprie volontà, si può costruire a proprio piacimento, proprio come il set di un film: si sceglie l’inquadratura che si vuole far vedere allo spettatore, tagliando il resto. Quello sarà l’unico punto di vista che lo spettatore vedrà e su quello costruirà la sua opinione. Ecco che, utilizzando il metacinema, Bezinovič ci fa vedere che è tutto finto, e che gli eroi sono costruiti ad arte. Basta smontarli, e il gioco è fatto.  Non sorprende quindi che “Fiume o morte!” abbia vinto il Tiger award e il premio FIPRESCI al 54esimo film festival di Rotterdam, il 2 febbraio scorso. Va visto, assolutamente, perché è geniale.

 

Fiume o morte!

Lingua originale: dialetto fiumano, croato, italiano

Paese di produzione: Croazia

Anno: 2025

Durata: 112 minuti

Genere: documentario, storico

Regia: Igor Bezinović

Soggetto: Igor Bezinović

Produttore: Vanja Jambrović, Tibor Keser

Casa di produzione: Restart, Videomante, Nosorogi, HRT Hrvatska radiotelevizija

Fotografia: Gregor Božič

Montaggio: Hrvoslava Brkušić

Musiche: Giovanni Maier, Hrvoje Nikšić

Interpreti e personaggi:

Izet Medošević

Ćenan Beljulji

Albano Vučetić

Tihomir Buterin

Andrea Marsanich

Massimo Ronzani