
CHI TEME LA PACE NEL DESERTO DEI TARTARI?
di FRANCO JURI
Che la svolta impressa al mondo dal presidente americano Donald Trump sia allarmante, non v’è dubbio. L’annuncio di voler (ri)fare »grande« l’ America, senza immigrati, contro la scienza, gli intellettuali, le università, i giudici, e fagocitando, con le buone o con le cattive, la Groenlandia, Panama, il Canada, le terre rare ucraine e Gaza, ripulita della sua popolazione palestinese, per farne una mecca di oligarchi e gangster americani e israeliani in vacanza, ha già creato una situazione distopica inimmaginabile fino a ieri. Ma a colmare il vaso dei timori europei c’è soprattutto la svolta »filorussa« di Trump nella questione ucraina, il suo mercanteggiare con Putin. E siamo al paradosso; il grande bullo americano vuole la pace senza se e senza ma, l’Europa invece invoca la guerra per una »pace giusta«. Mentre l’ UE è stata finora più americana dell’ America, dandosi la zappa sui piedi per dimostrare la propria lealtà atlantica, ora si ritrova alle spalle un’ America più russa della Russia e un nuovo ordine internazionale. O come ebbe a scrivere Vlado Miheljak su Mladina, » chi ha Trump come alleato, non ha bisogno di un nemico come Putin«.
L’ Europa in fibrillazione per il panico, ora non fa che contarsi e riassemblarsi, tra Macron, Starmer e le bellicose Von der Leyen e Kallas, nel tentativo di serrare le file, cercando una parvenza di unità che mantenga in qualche modo l’asse atlantista, continuando a satanizzare la Russia, pur nell’imbarazzo per le uscite »putiniane« di Trump.
Ma andiamo per ordine. La guerra in Ucraina il cui inizio è generalmente attribuito all’attacco militare della Russia nel febbraio 2022, ha in verità una genesi più complessa. Molti analisti, non ancora »embedded« nella narrazione euroatlantica, indicano il vero inizio del conflitto militare nella »rivoluzione di piazza Maidan« del 2014, la svolta decisamente antirussa succeduta ai vertici del paese dopo la fuga del presidente Janukovič da Kiev, gli scontri tra opposti nazionalismi con il rogo e i 48 militanti russi bruciati vivi nella Casa dei sindacati di Odessa, l’insurrezione separatista russa nel Dombas, i massacri del battaglione ucraino Azov in quella regione, l’annessione della Crimea da parte della Federazione russa e la guerra strisciante nell’est dell’ Ucraina con 14 mila morti in otto anni. Ma oltre a tutto questo caos e al fallimento degli accordi di Minsk, intesi – a detta di Angela Merkel – più come diversivo guadagnatempo che serio tentativo di pacificazione, ad indispettire e far esplodere l’ira di Putin è stata soprattutto l’insistenza di voler far entrare le ex sovietiche Georgia e Ucraina , cuore storico quest’ultima dell’antica Rus con costa sul Mar nero, nella Nato. Insistenza germogliata e annunciata da Gerge Bush Jr. nel 2008 a Bucarest in barba alle assicurazioni occidentali date a Gorbaciov e Yeltsin di un non allargamento della Nato oltre la Germania dopo la caduta del muro di Berlino. La miscela esplosiva è deflagrata tre anni fa con quella che la Russia ha definito eufemisticamente un’»operazione militare speciale«, ma che di fatto è, stando al diritto internazionale, una guerra d’invasione contro uno stato sovrano e membro delle Nazioni unite. Più o meno come lo furono le guerre occidentali in Afganistan, Iraq e Libia. L’Ucraina, sorprendendo Putin ed i suoi vertici militari, ha reagito energicamente, sostenuta militarmente e politicamente dagli USA, nonché dai paesi dell’UE e della Nato. Dopo tre anni di guerra di posizione, per fortuna non degenerata (ancora) in guerra con armi tattiche nucleari, lo scenario è desolante; centinaia di migliaia di morti in entrambe le parti, un paese diviso e messo in ginocchio economicamente e socialmente, un esodo di 20 milioni di ucraini, una situazione internazionale in bilico con l’avvento in un’Europa in crisi di politiche militariste in cui il termine pace è stato bandito se non abbinato ad un riarmo generalizzato in chiave anti russa. Persino i messaggi per la pace di papa Francesco sono stati ignorati o stigmatizzati. Dal febbraio del 2022 l’ Unione europea, guidata dalla militante Ursula von Der Leyen e con una politica estera affidata ad una giovane estone visceralmente antirussa e di scarsa competenza storico-geografia, si è incamminata lungo un percorso ignoto e minato, tagliando tutti i ponti con il grande vicino orientale e pregiudicando con le migliaia di sanzioni inflitte a Mosca, non scevre di una belligeranza antirussa persino nel campo della cultura e dell’arte, soprattutto le proprie economie. Non solo; ai primi segnali di negoziato l’Europa ha seguito acriticamente le sirene anglosassoni che hanno inficiato quello tentato da Erdogan a Istambul e in qualche modo già avallato da Mosca. La guerra è così continuata, Volodimir Zelensky si è lasciato convincere che la vittoria sui russi è imminente e che la riconquista della Crimea è a pochi passi. Miliardi di dollari ed euro in armi e munizioni sono confluiti sui campi di battaglia ucraini, dove però i russi hanno continuato ad avanzare metro per metro, senza distogliersi per il raid ucraino, ormai tragicamente fallito, nella regione russa di Kursk. Ma la vera doccia fredda è arrivata con Trump, la cui retorica anti Zelensky ha superato ormai persino quella di Putin, arrivando ad interrompere gli aiuti militari all’Ucraina.
E come ha reagito la disorientata Europa di fronte a tale capovolgimento?Il primo a scendere in campo e a proporsi come leader nucleare europeo è stato ovviamente Emmanuel Macron, un presidente con scarsa legittimazione nel prioprio paese, visto il pessimo risultato elettorale del suo partito alle politiche nel 2024. Ma la guerra, si sa, è un tonico miracoloso e, se la paura del russo fa quaranta, il discutibile leader può trasformarsi in venerato condottiero. Come Napoleone. E così evocando un’imminente minaccia russa per la Francia e l’Europa sembra proporsi, con le testate nucleari francesi, a potenziale sostituto dell’America in odor di ritirata. Oltre Manica gli fa aguerrita eco Keir Starmer, anche lui premier nucleare, ma con l’ipoteca del Brexit e un Regno unito che vuole si ricucire con l’ UE, ma da protagonista. E poi c’è la solita Von der Leyen che anticipando il Consiglio e il parlamento europeo sbotta: ReArm EU! 800 miliardi di euro per armarci. Kaja Kallas aggiunge: 40 miliardi, ma poi si accontenta di 5, per le armi all’Ucraina! Zelensky, grato ai padrini europei, dopo la strigliata subita in diretta TV nell’ufficio ovale da Trump e Vance, e su raccomandazione del segretario Nato Mark Rutte, è pronto a tornare mesto a Washington e sostenere il piano americano per una tregua, le cui condizioni però saranno decise da Trump e Putin. Il Consiglio europeo approva il piano di riarmo, i premier dopo aver alzato la mano cominciano però preoccupati a fare i conti. Ognuno con i propri elettori e gli inevitabili tagli alla spesa sociale. La Commissione concede uno strappo alla regola fiscale; i paesi possono indebitarsi oltre ai limiti ma solo per le spese militari. Senza dimenticare l’osceno rutto di Rutte,: »se non volete aumentere le spese militari, studiate il russo o trasferitevi in Nuova Zelanda!«. A tutti però sfugge uno di quei dettagli in cui di sovente si cela il diavolo; in Europa stanno montando come la panna le estreme destre. Buona parte di queste è vicina a Trump e anche a Putin. Montano perché i partiti liberali, popolari, socialdemocratici e persino verdi, non sono stati capaci di mantenere ne coesione sociale, ne transizione verde. Ora puntano sull’industria militare, perlopiù privata, illusoria panacea anticrisi soprattutto nei sogni germanici. Zeppi di atlantismo hanno seguito ciecamente le direttive geopolitiche neoliberali d’oltre oceano, creando scontento sociale. Dopo l’invasione russa in Ucraina hanno rinunciato, pensando di mettere in ginocchio l’economia russa, a una fonte energetica a buon mercato e di qualità, penalizzando , soprattutto in Germania, ma anche in Italia, una cospicua parte delle industrie nazionali. Hanno persino inghiottito il rospo dell’attentato al Nord stream, che ha reso ancor più dipendenti gli europei da aprovvigionamenti alternativi, più cari e a lungo termine poco affidabili. E ora ci si mettono anche i dazi di Trump. L’ Europa è in crisi profonda, ma risponde all’emergenza globale nel peggior modo possibile, puntando sulla militarizzazione e l’industria bellica, aspettando il nemico dal suo deserto dei tartari di Buzzatiana memoria e cercando di esorcizzarlo con i cannoni. Ma la rinuncia ad una politica di pace e di sviluppo sociale e sostenibile aumenterà le diseguaglianze sociali, le paure, l’impoverimento di larghe fasce della popolazione. Cambiamenti politici radicali dettati da rabbia e paura di ampi strati sociali e dalla strumentale demonizzazione dell’immigrato sono ormai sul palmo della mano e non solo negli USA. Domani, l’ Europa armata fino ai denti, potrebbe passare per via democratica a nuovi governi di estrema destra. È veramente ciò che auspichiamo per il nostro continente?