IL CONFINE TRA DIRSI ED ESSERE

IL CONFINE TRA DIRSI ED ESSERE

di PETER ABRAMI


Otto gennaio. 2025. Manca un mese. La pioggia sembra chiedermi di scegliere. Sembra chiedermi: “Sei italiano? Sei sloveno? Cosa sei?”. È come se cadendo stesse cercando di erodere un’identità unitaria, diversa, terza. Negli ultimi due anni ho vissuto a Bologna per motivi di studio, trovandomi a confrontarmi con ragazze e ragazzi di ogni parte della penisola. “Ma tu di dove sei? Da dove vieni?”. È sorprendente (magari lo è solo per me…) come uscendo dal proprio orticello si riesca, perché si è costretti a farlo, a vederlo per quello che è: un orticello. Così mi sono trovato a dover spiegare ai regaz la mia vita sul confine. Spiegare che a casa parliamo due lingue, che ho frequentato scuole con lingua d’insegnamento slovena ma con programma ministeriale italiano e che quando giocano gli azzurri non è detto che facciamo il tifo per loro. Le domande arrivavano: alcune interessanti, altre banali, altre ancora taglienti, scomode. Del resto, le cose sono sempre scomode per chi sceglie di non vederle semplici.


Semplice. Non credo che la nostra storia lo sia, malgrado i tentativi di renderla tale. Non credo si possano prendere le vittime di una e dell’altra parte e unirle in un unico cartello su un viale alberato, come una sorta di equazione matematica. Se fossimo nel magico mondo di Harry Potter, dove i ritratti parlano, chissà se Milojka e Norma si parlerebbero o se si darebbero le spalle, distanti, diffidenti. Come divise da un confine.


E queste nostre città? Si parlano o si danno le spalle? Sono unite o separate? Scrivendo, mi capita per le mani un libro del 2004 dal titolo Goriziani&Novogoričani (qualcuno se lo ricorderà, forse…), una raccolta di pensieri di persone comuni di una e dell’altra parte della frontiera sul “crollo del confine” in occasione dell’ingresso nell’UE della Slovenia. A vent’anni di distanza, in ottica GO25, è curioso sentire, parlando con le persone (ma anche leggendo commenti su vari social, il mondo è cambiato…) ancora le stesse identiche opinioni, siano esse fiduciose, pessimiste, scettiche, entusiaste, menefreghiste, sognanti… È come se si potesse prendere il libro, aggiornare la copertina, rivenderlo con quegli stessi pensieri e questo sarebbe ancora straordinariamente attuale.


Oggi, come vent’anni fa, borderless. Lo siamo davvero? Certo, se uno guarda a quella che per alcuni è Piazza Transalpina e per altri Trg Evrope (al momento un cantiere, ma diamole tempo…) lo può anche pensare: uno spazio aperto, libero, liscio (perdirla con Deleuze). È il confine “europeo”, quello dove in primavera un’amica che è venuta a visitarmi dalla Toscana ha potuto farsi fare la solita foto con un piede da una parte e uno dall’altra, quasi a divenire essa stessa confine superandolo, annullandolo, padrona della frontiera. Ma a soli pochi passi da Piazza Transalpina, il valico di via San Gabriele già si presenta come un confine più “vecia maniera”. Per ordini arrivati da Roma, possiamo spesso vedere una volante della polizia a sorvegliare il passaggio. Questo è però solo un richiamo del vero grande confine “statale” della città,  quello di Casa Rossa, sede dell’Ufficio Immigrazione, dove quotidianamente passano persone, soggetti, corpi per cui il confine esiste eccome. Per non parlare del fatto che solo pochi anni fa, per questioni legate a un’emergenza pandemica, il passaggio da una parte all’altra venne impedito (o, comunque, fortemente limitato), portandoci indietro a un’epoca che io, personalmente, non avevo mai vissuto e ricordandoci come certi sforzi e certe iniziative lievitino con estrema calma ma si trasformano in vasi di cristallo quando le cose prendono un’altra piega.


La questione è, quindi, davvero complessa. Ma la complessità non è (o non deve essere) polvere da spazzare sotto il tappeto o da aspirare con la scopa elettrica. Può essere vista più come una sorta di pietra da spezzare per rivelarne i singoli pezzi e capirne la natura. Non basta dirsi borderless per esserlo. Il confine continuerà a esistere in un modo o in un altro, materiale o immateriale, se si fugge dalle questioni scomode.


Al momento, la pioggia continua a cadere, il tempo a scorrere.