PICCOLI VIAGGI ALLA RICERCA DELLA MEMORIA PERDUTA

PICCOLI VIAGGI ALLA RICERCA DELLA MEMORIA PERDUTA

di NEVIO COSTANZO

 

Il libro di Dario Stasi “Intorno a Gorizia”, edito da Transmedia nel 2009, è ricco di informazioni su cosa si può vedere e trovare nel goriziano.

 

Il sottotitolo invita a realizzare “piccoli viaggi alla ricerca della memoria perduta” e per questo mi è stato ispiratore per seguire alcuni suoi itinerari che ho fatto in bicicletta, partendo sempre dalla piazza della Transalpina/Trg Evrope, fulcro di GO! 2025.

 

Corno-Koren

 

Il primo capitolo di questo libro si apre con “La scoperta del Corno: il vero fiume di Gorizia?” per cercare le radici del Corno, il cui nome in lingua slovena è Koren, appunto, radice.

 

Anche fiumi più importanti hanno più di una sorgente, come la Sava, che ha sia la Sava Dolinka che la Sava Bohinjka; o il Danubio, che prende questo nome alla confluenza di due piccoli rii, il Brigach e il Breg, dei quali il primo si fregia di origini nobiliari.

 

Il Koren/Corno, il “torrente” che attraversa le due Gorizie, non ha voluto essere da meno, avendo due sorgenti (almeno).

Un’impegnativa salita, su una strada asfaltata fino al ristorante Kekec, è seguita da una discesa su uno sterrato che ha messo a dura prova sia i freni che l’equilibrio per effettuare corrette traiettorie in curva.

 

All’apice di questo saliscendi si trova la sorgente, ma il luogo è inaccessibile. Solo un ponticello di legno è segno del passaggio del corso d’acqua. Il luogo si trova sotto le pendici del monte San Gabriele, il sottostante Santa Caterina.

 

La seconda sorgente si trova nel bosco del Panovec. Da questa sorgente, un po’ riadattata dopo i lavori della contigua zona industriale/commerciale, il rigagnolo scorre fino a confluire nel Kanal Koren, opera resa necessaria nell’autunno del 1948 per preparare il terreno prima di costruire Nova Gorica. Più avanti si unisce all’altro Koren.

 

L’acqua che scorreva era buona, al punto che un ristorante proponeva anche gamberi di fiume. Di questo è rimasta solo l’insegna.

Il corso d’acqua scorre all’aria aperta fino al confine comunale di Gorizia, al di là del quale viene (ri)coperto per poi riemergere alla valletta del Corno, riprendendo più avanti il percorso sotterraneo. Per poi immettersi, quasi libero per qualche centinaio di metri, ma incanalato, sfocia nell’Isonzo.

Lijak

 

Visto che l’appetito vien mangiando, seguendo la traccia del libro precedentemente citato e spinto dalla mia curiosità di approfondire la conoscenza del territorio, mi sono avventurato in più di un’escursione verso la sorgente del torrente Lijak, che fino al 1947 segnava il confine del comune di Gorizia. Il Lijak è un affluente della Vipava (Vipacco).

 

All’arrivo, il contachilometri segnava una distanza di quasi 9 km, un tragitto percorribile con tranquillità in poco meno di un’ora. Il percorso presenta alcune salite, come quelle verso Kromberk – Moncorona e la sorgente stessa, ma offre anche l’opportunità di ammirare il verde paesaggio.

 

Una foto nel libro mostra un torrente rigoglioso, quasi al limite dell’esondazione. Al momento delle mie visite, però, lo scenario era ben diverso: nemmeno un filo d’acqua, solo rocce asciutte e qualche pozza sparsa. Tuttavia, pochi metri più in basso, un rivolo d’acqua riempiva il letto del fiume.

 

Proseguendo lungo il percorso, poco dopo un ponte sulla trafficata strada per Ajdovščina, si incrocia uno sterrato praticabile che costeggia il fiume. Questo tratto offre scorci suggestivi tra i frutteti – famosi per le gustose pesche – e il corso d’acqua, rendendolo perfetto per una piacevole escursione in bici.

 

Anche una bicicletta da città può essere adatta, a patto di sistemarla adeguatamente prima di affrontare, a piedi, il breve sentiero che conduce alla sorgente.

Sabotino


Vedo il monte Sabotino da una finestra di casa mia, quasi lo posso toccare con mano. Ci sono andato a piedi molte volte, ma questa volta ho deciso di raggiungerlo in bicicletta.


Attraversato l’ormai frequentatissimo ponte ciclopedonale sul fiume Isonzo-Soča, percorro l’ombreggiata e bella ciclabile (G1) sulla sponda orografica destra del fiume color smeraldo.


Poco prima di Plave, alla fine della salita, cambio direzione e mi immetto sulla strada che porta verso Šmartno/San Martino di Quisca.

Qualche tornante, poco traffico, per fortuna la strada è sempre in ombra, compresa buona parte dell’ex strada militare che conduce all’ex caserma dei graniciari. Le viste panoramiche invitano a fermarsi e a fare qualche scatto fotografico. Lungo il percorso incontro testimonianze della Prima Guerra Mondiale – le piramidi che si trovano al lato della strada marcano la linea del fronte – e una flora tipica di un confine, non politico, ma fitogeografico. Qui si incrociano diversi “distretti”: prealpino, mediterraneo, dinarico. La biodiversità è una componente fondamentale della Natura.


Arrivo in cima, qualche turista, ma soprattutto silenzio, o meglio, apprezzo i suoni dell’ambiente.

L’itinerario presenta qualche difficoltà, non tanto per la scorrevolezza delle strade percorse, quanto perché mi mette alla prova come ciclista. Le salite sono impegnative, ma con allenamento e la giusta determinazione, si possono affrontare e superare. Alcune soste per riprendere fiato sono state necessarie, anche per bere abbondantemente dalle borracce, che erano quasi vuote una volta giunto alla meta, ovvero l’ex caserma… ma non avevo considerato che il locale fosse chiuso.


Ma raggiungere la cima è stato appagante, considerando che poi mi attendevano lunghe discese fino quasi al Preval.

Lokve – Loqua

 

Mi mancava rifare un giro in bici verso Lokve/Loqua in bici, anche se c’ero già andato in compagnia da ragazzo. Un viaggio solitario, questa volta. È stata un po’ dura all’inizio, la prima salita, quella che costeggia la cava, ma preso il ritmo, un ritmo calmo, non sincopato, la si affronta e la si lascia alle spalle.

Con meno pendenza

 si sale, solo si sale per arrivare a Lokve con qualche breve tregua, dove ci sono gli abitati.

Le salite ti inducono a bere, acqua, ma meglio prevenire la sete bevendo qualche sorso prima di avere la bocca asciutta.

Le salite ti aiutano anche a meditare, a pensare, ma anche ammirare quanto ti circonda.

Fino all’incrocio che porta a Čepovan c’era abbastanza traffico di automezzi che salivano e scendevano in questa giornata feriale, ma rispettosi per chi va in bici, tenendo un’adeguata distanza nel superare. Poi, come una dissolvenza, sempre di meno, poi quasi nessuno.

Poi boschi, boschi di pino nero, purtroppo con la processionaria. Poi quelli di abete, di faggio, misti.

Un’aspetto poco evidenziato, cui non si fa caso, è l’odore, il profumo che si sente quando si va in bici, soprattutto in questi ambienti. Resina, terra, legno tagliato.

A Lokve non c’era alcuno, nemmeno un orso, forse si, il sottoscritto…

Torno indietro? No, perché l’appetito (ancora) vien mangiando, e allora avanti, ad affrontare uno sterrato non ancora adeguatamente battuto e, anche se qualche tratto era in piano, lo sforzo era maggiore. Le ruote scavavano il solco. Per non parlare della successiva pendenza positiva…

Il silenzio era assoluto, tranne i rumori della Natura: il vento che attraversa gli alberi, il volo di qualche rapace.

Arriva la discesa, un discesone fino quasi ad Ajdovščina e, immancabilmente, un’altra base sonora.

Ovviamente il vento contrario “aiuta” a ritornare a casa. Una bella esperienza.

 

… da Jesenice e oltre

 

Sono le 7:30 (non alle 7:40…) del mattino e c’è un treno che parte.

L’annuncio plurilingue in sloveno, italiano e inglese informa i passeggeri in attesa al binario dell’imminente arrivo del treno proveniente da Sežana con destinazione Jesenice. Una parte del vagone è destinata al trasporto bici, con un supplemento di €1,50 valido per tutto il giorno.

Fino a Most na Soči (Santa Lucia), la linea costeggia il fiume Isonzo-Soča. Qui incontra altri due fiumi, l’Idrijca e la Bača. Sulle sponde di quest’ultimo, per ragioni strategico-militari, venne fatto proseguire l’itinerario nel lontano 1906.

 

Dal treno alla bici

 

Dalla ferrovia della Transalpina, termine che racchiude una rete di ferrovie realizzate per migliorare i collegamenti tra il centro dell’Europa e il porto di Trieste, a quella Rudolfiana, per il tratto da Lubiana a Tarvisio, ora trasformato in una frequentatissima ciclabile – D2 – (come la successiva Alpe Adria FVG 1) lungo le valli alpine. Paesaggi ricchi di verde, verde brillante dei boschi e dei prati alternati ai campi coltivati. Odori di insilato, di stalle ben condotte e di bosco. Questo profumo si infittisce sempre di più quando la ciclabile da Kranjska Gora (FVG1/bis) arriva alla foresta di Tarvisio, attraversando la piana di Rateče. Qui sgorgano tante piccole sorgenti che danno origine alla Sava Dolinka. Il fiume, che si unirà poi alla Sava Bohinjka, è il più lungo della Slovenia, e attraversa la Croazia, la Bosnia e la Serbia per poi immettersi nel Danubio.

Poco distante dalla ciclabile, sulla parallela strada statale, si trova la Scuola Internazionale Mushing Sleddog.

 

Alberi

 

Un albero, in particolare, cattura l’attenzione per la sua presenza e cura. È il tiglio, lipa (Linde in tedesco), che secondo la tradizione slovena è l’albero sacro, simbolo della vita. Da un punto di vista ambientale, quest’albero possiede un’ottima capacità nel migliorare la qualità dell’aria, sia come termoregolazione che per l’assorbimento di gas inquinanti e polveri sottili.

Uno molto importante, classificato come monumentale, si trova all’interno del parco del Palazzo Veneziano di Malborghetto. Una curiosità: questo paese un tempo non si chiamava così. Il suo nome originale era Bamborgert. Il toponimo forse deriva dall’appartenenza ai vescovi di Bamberga o da “borgo ricco”. Per vicende storiche, qualche anno dopo la distruzione della località da parte delle truppe veneziane (fine del 1300), divenne Malborghetto.