PONTI SOPRA IL PESO DELLA STORIA

PONTI SOPRA IL PESO DELLA STORIA

di KATJA HROBAT VIRLOGET

 

Inizierò con il desiderio dell’autore dei dialoghi del libro Kavarna Italija (2023, ZTT), “Essere ponti, non muri”. Attraverso questo tipo di “atti culturali”, come l’autore chiama questa serie di libri, le parole possono diventare i mattoni di ponti attraverso un confine nazionale su cui i fardelli di un passato irrisolto premono da decenni, persino secoli. Un confine che ci divide e allo stesso tempo ci unisce nella nostra comune memoria conflittuale, eredità delle ferite del passato di confine. A causa di tutti i traumi irrisolti del passato di confine e del nostro esser intrappolati in narrazioni vittimiste, questo confine crea ancora lenti sfocate su entrambi i lati che distorcono e limitano la nostra visione dell’”altro” oltre il confine. Ecco perché questa selezione di dialoghi con personalità affermate della parte italiana è una luce brillante che apre il mondo “oltre” al lettore sloveno in tutta la sua grandezza nel campo umanistico e delle scienze sociali. In questo mondo, ricercatori e pensatori (come commenterebbe la sociolinguista Vera Gheno, presente nel libro, il fatto che la lingua slovena non conosca la forma femminile della parola pensatore, saggio?) provenienti dai campi della teologia, della filosofia, della letteratura, dell’interpretariato, del giornalismo, della fisica, della gastronomia, dello sport, ecc., riflettono sul mondo contemporaneo e sul passato e su una varietà di prospettive che ampliano gli orizzonti mentali del lettore… Nel testo si susseguono riflessioni di intellettuali italiani che vanno ben oltre le nostre ossessioni di confine per la storia irrisolta. Leggiamo, ad esempio, della migrazione moderna, che è così necessaria nella nostra società europea che invecchia. E sono proprio gli europei, che tanto temono l’homo migrans, in realtà di fatto una costante della storia umana, il risultato delle grandi migrazioni dell’homo sapiens, che, per dirla con le parole del filosofo della rivoluzione Telmo Pievani, hanno trionfato sulle altre specie umane proprio attraverso il linguaggio. Questa è solo una delle tante storie che rompono gli stereotipi consolidati attraverso la ricchezza della saggezza che Jernej Šček evoca in dialoghi selezionati.

 

Come ricercatrice dell’eredità delle memorie e dei silenzi di confine, sono stata molto attratta dalle riflessioni del libro sul peso collettivo e individuale della storia passata, sull’affrontare la responsabilità che noi sloveni ci aspettiamo spesso “dagli altri”, ma raramente esigiamo da noi stessi. Con lo scrittore Antonio Scurati e lo storico Eric Gobetti, leggiamo del trauma italiano del fascismo come di una grande repressione della coscienza nazionale italiana. Come osserva quest’ultimo, nel suo paradigma narrativo sacrificale e nella sua lettura ideologica del passato, il fascismo nel discorso pubblico nega ed equipara erroneamente tutte le vittime, relativizzando e decontestualizzando così vari tipi di crimini. Come riflette la storica della Shoah Laura Fontana, oggi è caduto il mito di scaricare la responsabilità solo sull’autorità. Le persone hanno spianato la strada alla violenza con le loro (non)scelte. I regimi totalitari come il fascismo, come sostiene lo storico Emilio Gentile, hanno creato fabbriche di obbedienza piuttosto che fabbriche di consenso. Il fatto che l’Italia non abbia fatto i conti con i suoi crimini fascisti è testimoniato anche dalla traduttrice Patrizia Raveggi e dalla filosofa Michela Marzano. Tuttavia, nell’oblio arriva un momento in cui la vergogna chiama al confronto, alla rielaborazione, che la filosofa stessa ha elaborato in prosa a livello di passato individuale, familiare. Come dicono gli psicoanalisti, i silenzi possono essere anche intergenerazionali, quando ereditiamo dal passato esperienze che noi stessi non abbiamo mai vissuto, e questi, come fantasmi, dirigono la nostra vita. E sono le terze generazioni che, come scrive la scrittrice Elif Shafak in The Island of the Missing Trees (2023, 287), portano con sé la “memoria più antica” e cercano di strapparla al silenzio, mentre la prima generazione soffre e la seconda reprime il passato. Pensieri simili si leggono in questo libro con la scrittrice Igiaba Scego: le guerre e i traumi coloniali, le esperienze migratorie, l’estraneità si porta dietro i conflitti sotto forma di disagio interiore, vuoto, silenzio. Tuttavia, la storia non è mai in bianco e nero, viviamo con le sue ombre, i suoi grigi e condividendo i suoi dolori. Ed è in queste nostre vulnerabilità che possiamo trovare la nostra forza, riflette psicoanaliticamente Michela Marzano.

 

Insegna a tutti noi una lezione, sia individualmente che come società, di non aspettarsi scuse che non arrivano mai, ma di perdona se stessi e fare i conti con il proprio passato. Lo scrittore istriano Milan Rakovac la pensa allo stesso modo riguardo alla riconciliazione, la catarsi si raggiunge solo con il pentimento per i propri crimini, non con la lotta contro chi li ha commessi, quei crimini sono un problema di chi li ha commessi. La riconciliazione, come scrive un altro intellettuale di frontiera, il giornalista Nicolò Giraldi, non verrà dalla stretta di mano dei presidenti, ma dalle azioni quotidiane delle persone, dai matrimoni misti, dall’apprendimento della lingua dell’altro, dalla curiosità reciproca.

 

Ma nonostante i paroloni a livello politico e istituzionale, nonostante i grandi investimenti, come nel progetto Capitale della Cultura 2025, secondo Patrizia Raveggi la cooperazione tra Italia e Slovenia, gravata dalla decontestualizzazione e dai fardelli irrisolti della storia, resta fiacca. L’antropologa Katja Jerman mostra una cosa simile nel suo libro Two Hills – One City? (2025, ZTT), nonostante l’istituzione dei cosiddetti luoghi in comune sul confine, nonostante tutta la retorica politica sulla “sconfinatezza”, la gente rimane frenata dai conti in sospeso del passato.

 

Eppure, non siamo pessimisti, concludiamo piuttosto con le parole del teologo laico Vito Mancuso dal libro di Šček Kavarna odprta. “L’ottimismo cambia il mondo in meglio. Chi crede nel prossimo suscita il desiderio di cambiamento, dà speranza, produce un cambiamento in meglio”. È vero, c’è molto da fare, soprattutto per dare peso alla storia dei confini affrontandola onestamente e responsabilmente da entrambe le parti, e questo libro è un bel passo in quella direzione. Nel libro risplendono attraverso di noi piccole e grandi saggezze, che hanno il potere di spostare le montagne, non solo nella direzione di costruire ponti tra vicini, ma anche nella grandezza del pensiero umanistico.

 

Nelle parole del neorealista Maurizio Ferraris, abbiamo bisogno di filosofi (e altri umanisti) che siano in grado di guidarci “attraverso il caos senza senso”.

 

Ecco perché il libro Kavarna odprta è, oggi, ancora più necessario. Grazie, Jernej.