RICORDI DI ADOLESCENZA
DI ENZA LI GIOI
La prima volta che vidi Dario Stasi avevo tredici anni e, con mio padre, ero andata alla Sala Ginnastica in occasione della Festa del Ceppo, una tradizione natalizia che non credo esi sta ancora, in cui gli studenti del quinto anno di ogni Istituto superiore presentavano un qualche piccolo spettacolo tea trale o musicale. Per il tecnico commerciale (se ben ricordo) si presentò un duo costituito appunto dai diciottenni Dario Stasi e dal noto pittore Franco Dugo, con il quale, qualche anno dopo, ebbi anche una breve storia che si interruppe con il suo servizio militare.
I due cantarono, accompagnati dalla chitarra, la canzone Su sie Darling e lì per lì, in quel mio affaccio all’adolescenza, pre si una cottarella per tutti e due.
Li trovai fichissimi e di tutti gli altri non ricordo niente. Non saprei se la nostra, di Dario e mia, fosse una vera amici zia. La chiamerei piuttosto un rapporto di stima e rispetto, ri spetto da parte sua nei miei confronti anche per quel mio bre ve trascorso con Franco Dugo di cui era invece molto amico. E di rispetto da parte mia proprio per questo ma anche per tutto ciò che venivo a sapere di lui dopo la mia scelta di an darmene da Gorizia pur portandomela sempre nel cuore. La seconda occasione di vicinanza con Dario – che vedevo sempre di striscio sul Corso e ciao ciao – fu durante il pranzo di nozze di suo fratello Enzo, il cui rapporto con me somiglia va molto di più a un’amicizia anche se mediata da quella che aveva, fin dall’infanzia, con il mio ragazzo e attuale padre dei miei figli, Franco Dragotta, detto semplicemente Il Dragotta. Fu indimenticabile quel pranzo. Si svolse in un bar-tratto ria un po’ fuori dal centro che si chiamava tristemente ‘Al Topo Gigio’. Io e il mio ragazzo venimmo appositamente da Roma. Mangiammo male, tipo ravioli industriali e salsicce ‘di cranio’ ( non ho mai capito perché mai si chiamassero così) e tutti bevemmo molto vino seguito da svariati grappini. Ne seguì una discussione amara sulla fine della giovinezza benché fossimo tutti giovanissimi e ricordo che io interventi dicendo che me n’ero andata da Gorizia perché quell’atteggiamento da tristi vitelloni di provincia mi stava in qualche modo infettando. Anche il mio fu un discorso confuso e alcolico ma Dario prese le mie difese e mi lodo’, cosa che ancora oggi ricordo con orgoglio. Quel pranzo sfociò quasi nell’ora di cena e a quel punto comparve nel locale anche la sorella di Enzo e Dario e diede alla giornata una svolta davvero felliniana. Disse: “Enzo, a che ora te ‘speto a casa per cena?” E Enzo rispose: “Mah… tra un’oretta dai!”
A quel punto, mentre qualcuno rideva e altri avevano un’aria imbarazzata e guardavano di sottecchi la sposa, Dario si alzò e se ne andò, non so se disgustato o cosa. E non lo saprò mai.
In seguito seppi che Dario dirigeva una bella rivista bilingue e io stessa dirigevo una mia rivista letteraria a tiratura nazio nale dove su un numero pubblicai un articolo che parlava del nostro confine. Mi chiese se poteva ripubblicarlo sulla sua rivista e così ebbi l’emozione di vedere un mio scritto tradotto in Sloveno.
Mi chiese anche di mandargli altre cose e non ricordo se lo feci. Forse pubblicò una recensione del mio primo libro. L’ultima volta che lo incontrai fu un’estate di pochi anni fa alla Sagra di San Rocco. Fu lui che mi chiamò da una tavolata in cui stava cenando con sua moglie e degli amici. Mi presentò come se fossi un premio Nobel per la letteratura. Scherzam mo un po’ e lui mi disse che la nostra differenza di età non era molta ma lui sembrava mio padre.
Che carino.
E poi basta.
Non un grande rapporto come si evince da questi sparuti ricordi.
Ma sapere che questa figura, così peculiare e importante per Gorizia e così ben litografata nella mia memoria non passerà più per il Corso e non saluterò più quando verrò mi mette addosso un grande senso di perdita e una grande amarezza.
Ciao Dario.