ANTICHE TRADIZIONI CARNEVALESCHE SLOVENE LUNGO L’ISONZO

ANTICHE TRADIZIONI CARNEVALESCHE SLOVENE LUNGO L’ISONZO

di SARA TERPIN


Il carnevale è una festa molto amata tra gli sloveni e, soprattutto nei luoghi un po’ più isolati o legati alla vita rurale, conserva ancora in sé tracce tangibili di un antico passato, fatto di rituali e simboli che neanche il cristianesimo è riuscito a cancellare.


Nei piccoli paesi lontani dalle città e svuotati dallo spopolamento il carnevale è un momento molto atteso in cui la comunità si rianima, le persone si riuniscono, portando musica e colori tra le case semivuote.


Così, nei piccoli paesi attorno a Lig, ogni anno durante il periodo del carnevale rivive un’antica tradizione: quella dei “Liški pustje”. L’importanza di questa festa tradizionale e delle maschere artigianali che ne sono le protagoniste è stata suggellata nel 2020 dal Ministero della cultura sloveno, che ha inserito i Liški pustje nel Registro nazionale del patrimonio culturale immateriale.

Si tratta di un’antica usanza che, dopo la Prima Guerra Mondiale, fu abbandonata e che rischiava di estinguersi senza lasciare traccia. A salvarla dall’oblio è stato lo scrittore, pittore e appassionato di etnografia Pavel Medvešček, che assieme a Branko Žnidarčič, abile artigiano di Kanal, ha ricostruito le antiche maschere. Queste sono molto particolari nel panorama delle maschere tradizionali slovene, solitamente intagliate nel legno: quelle dei Liški pustje, infatti, sono realizzate in lamiera (un tempo di rame, oggi di alluminio).

Il gruppo dei Liški pustje è assai variegato e costituito da tanti personaggi, ognuno con un proprio ruolo. Come anche altre maschere tradizionali slovene, i Liški pustje si suddividono in due sottogruppi: “Ta grdi” (“i brutti”) e “Ta lepi” (“i belli”). Solo i “belli”, (rappresentati da una coppia di sposi, un medico e una guardia) hanno il privilegio di poter entrare nelle case, dove si esibiscono in un ballo benaugurante al suono della fisarmonica.


Ma le maschere la cui origine è più antica sono quelle dei “brutti”: in esse, infatti, ritroviamo elementi tipici che caratterizzano anche maschere di altre regioni slovene e, in un quadro più ampio, di tutta l’Europa centrale. Il loro costume è fatto di pelle di pecora o altri materiali naturali, come la sbramatura della corteccia di tiglio (albero considerato sacro). In testa hanno corna o rami d’albero e in mano bastoni di legno o calze piene di cenere con cui colpiscono i bambini e le ragazze.


Del gruppo dei “brutti” fanno parte anche i Pustje, pure loro caratterizzati da elementi che si ritrovano in altre maschere tradizionali slovene: i nastri variopinti che compongono il costume, i campanacci legati in vita e il copricapo in pelle di pecora con corna applicate. I Pustje vanno in giro per i paesi “armati” di lunghe tenaglie con le quali si divertono a catturare ragazze e bambini.

Le tenaglie e i costumi fatti con nastri di tessuto variopinti sono caratteristici anche dei Pustarji, maschere tradizionali dei villaggi intorno a Grgarske Ravne e Bate, tra Sveta Gora (Monte Santo) e l’altopiano di Banjšice (Bainsizza).


I Pustarji si distinguono per un copricapo particolare, vero e proprio simbolo del gruppo, formato da quattro archi e un campanello in cima. Corrono in giro per il paese ad annunciare la fine dell’inverno e l’arrivo della primavera, ma ne approfittano anche per fare scherzi e acchiappare le fanciulle e i bambini con le loro lunghe tenaglie. Del gruppo fa parte anche il Klobasonar (letteralmente “l’uomo delle salsicce”), che con il suo aiutante va in giro casa per casa, accompagnato da canti e balli, a raccogliere i doni, per lo più uova, salsicce e altri generi alimentari. Questi doni verranno poi utilizzati per preparare la cena di gruppo a fine giornata.


L’ “uomo delle salsicce” o “poberin”, colui che raccoglie i doni, è una figura imprescindibile di ogni gruppo mascherato tradizionale. Con il nome di Klabason lo ritroviamo anche tra le maschere tipiche di Kal nad Kanalom, una tradizione abbandonata negli anni ’50 del secolo scorso e richiamata in vita recentemente grazie agli sforzi del gruppo folkloristico locale. Anche in questo caso di fondamentale importanza per la ricostruzione delle maschere sono state le ricerche di Pavel Medvešček e i consigli degli artigiani Branko Žnidarčič e Franc Jerončič. A preparare gli schizzi per i costumi in base a questi studi è stata la designer Elza Pavšič, che ha anche realizzato a mano le maschere in cartapesta secondo un metodo tradizionale.


Il gruppo delle maschere di Kal nad Kanalom si compone di vari personaggi che rappresentano i ceti sociali (i contadini, gli abitanti della città, il medico, i mendicanti…), ma anche figure più antiche dal significato simbolico, come la coppia di sposi (simbolo di fertilità) e il Cundrin, il cui aspetto ricorda quello di un fantasma e che rappresenta lo spirito degli antenati. A guidare il corteo sono Pust e Pustovka, noti anche come “ta stari” (i vecchi) o “ta grdi” (i brutti). Entrambi incutono timore, soprattutto Pust con il suo costume fatto di pelli, la maschera con le corna, i campanacci intorno alla vita e la calza piena di cenere appesa a un bastone. Molto particolare è la maschera chiamata “Pu ‘n pu” (“mezzo e mezzo”) o “Ne tič ne miš” (“né uccello né topo”), per metà uomo e per metà donna, con due teste intagliate nel legno, mentre chi la indossa nasconde il volto sotto un setaccio.


Dopo le scorribande dei giorni di carnevale, in tutte le tradizioni slovene il mercoledì delle ceneri è dedicato al “processo al carnevale”, una sorta di capro espiatorio che viene riconosciuto colpevole di tutti i mali e che come tale andrà giustiziato al rogo, per poi “rinascere” un anno dopo e riportare in vita gli scherzi del mondo alla rovescia carnevalesco, ma anche gli antichi riti propiziatori che si celano sotto la superficie allegra di questa amatissima tradizione.