IL CORNO E LA STORIA LOCALE
DI DARIO STASI
Confesso di aver avuto in passato un atteggiamento di sufficienza verso la storia locale, perché consideravo limitante l’argomento e, diciamolo con un brutto e ambiguo aggettivo che oggi non uso più, “provinciale” colui che se ne interes sa. Stupido peccato di presunzione. E ora invece, che da un bel po’ guardo con attenzione e con piacere alla storia della mia città, un giovane amico mi ha ripreso sarcasticamente: “Adesso te se butti su la storia del borgo San Rocco?” Probabilmente nello stimolare questo genere di interessi conta anche l’avanzare degli anni: più uno diventa vecchio e più si sente attaccato ai propri sassi, più ama le cose che gli stanno intorno da una vita. Ma non è solo questo. È che Gorizia è un caso a sé, perché ha una storia che non si finisce mai di scoprire. Uso volutamente il verbo scoprire perché sono convinto che in molti, in un passato recente, si siano dati da fare per coprire la storia di questa città. Ma che c’entra il Corno con tutto questo? Semplice: il Corno, quasi tutto coperto nel suo tratto cittadino (nella
parte italiana) è una metafora delle vicende goriziane di questo secolo! L’uno e le altre, tutto sotto coperta. Ecco, mettiamola così. Inoltre oggi questo piccolo torrente
tocca le due Gorizie e nel suo breve percorso suggella ancora l’unitarietà del territorio, nonostante il confine.
Ma andiamo con ordine. Tutto comincia l’anno scorso, in autunno. Raccolgo al volo un dialogo fra due donne al mer cato mentre parlano di funghi: “Xe vignudi fora i chiodini, te convien dar un’ociada in Valletta”. Al pomeriggio decido di andare anch’io in Valletta, anche se non so bene dove trovare il posto giusto dei funghi. Arrivo per caso in un punto dove il Corno esce da un tunnel sotterraneo e scorre all’aperto fra argini di cemento, liberando nell’aria un odore fetido. Il luogo è malagevole, una giungla in pieno centro cittadino. I funghi li trovo subito, tantissimi, belli, su almeno tre alberelli di acacia.
Ma quel giorno scopro anche il Corno. Perché lo vedo sbucare improvvisamente; perché del Corno si parla, il Corno si presume, ma non si avverte la sua presenza se proprio non lo si va a cercare. Infatti per gran parte del suo percorso in territorio italiano il Corno è oggi nascosto, coperto agli occhi (e ai nasi) dei goriziani. Eppure le carte e le mappe, la storia e la cronaca cittadine, la toponomastica, le vecchie foto e le antiche illustrazioni ci dico no che lungo i cinque o sei chilometri di questo piccolo torrente, fra mulini e lavatoi, si svolgeva la quotidianità popolare della città, quando nel le sue acque vivevano ancora gamberi d’acqua dolce o piccoli pesci come le alborelle, le rane, le sanguisughe… Insomma, uno dei luoghi im portanti della vecchia Gorizia. Nella bella pianta del 1884 a sinistra, balza immediatamente agli occhi il percorso azzurro, aperto, del Corno fino alla sua confluenza nell’Isonzo. Piazza Corno oggi si chiama piazza De Amicis ed è stata fino a qualche decennio fa uno dei centri nevralgici della vita cittadina, ricchissima di osterie e di caffè dove si parlavano quattro o cinque lingue – e tutti si capivano – e in cui sostavano i mer canti e i montanari che contrattavano acquisti e vendite di legna, sementi, prodotti della montagna e dei cam pi. Riva Corno, oggi via Balilla, era l’unica strada che portava in città da nord (via Pellico non c’era ancora). Della vecchia Riva Corno sopravvive ancora oggi un piccolo troncone in corrispondenza dell’ampia curva che da largo Pacassi porta in via Brass. Si riferiscono alla presenza del Corno la via del Molino (laterale di via Corsica) e il vicolo del Guado (all’incrocio fra le vie Leopardi e Brigata Casale): il molino non c’è più e non c’è traccia neanche del canale ricavato da un’ansa del Corno su cui il molino sorgeva; ma il guado esiste ancora, anche se non vi si può accedere perché il vicolo è sbarrato da un cancello con tanto di “proprietà privata”. Poi c’è Riva Piazzutta. Questo rione è nato e si è sviluppato proprio per il fatto che il torrente consentiva un facile accesso all’acqua per i nuovi insediamenti cittadini. Oggi, a testimonianza della presenza sotterranea del Corno, all’ingresso di Piazzutta si trova la statua di San Giovanni Nepomucèno, che un tempo era collocata proprio sul ponte, per proteggerlo… Per avere un’idea complessiva di questo corso d’acqua decido allora di andare in perlustrazione in bicicletta, dalla sorgente alla foce, macchina fotografica a tracolla. Scelgo una domenica mattina e, attraverso il valico di via San Gabriele, mi dirigo di rettamente a Moncorona (Kromberk). Esplorando la zona mi rendo subito conto che non è facile trovare la sorgente, che il problema è più complicato di quanto pensassi perchè qui non si tratta di individuare una sorgente e seguire il corso del fiume… semplicemente. Parlando con più persone del luogo, in fatti, apprendo che sulla fiancata del San Gabriele le sorgenti sono numerose e così i rigagnoli o torrenti o potoki, e che per saperne di più sarebbe opportuno rivolgersi all’ufficio per lo studio e la sistemazione idrogeologica del territorio che ha la sua sede proprio a Kromberk. Rimando l’esplorazione a qual che giorno dopo, intanto mi metto in contatto con la società “Vodnogospodarsko podjetje Soca” e prendo appuntamento con un tecnico. Nel giorno convenuto l’ingegner Gabrijelcic, che è ingegnere specializzato di questa società (fino a po chi anni fa statale, oggi prevalentemente privata), mi descrive con chiarezza la situazione: i rami del Corno sono principal mente due, l’uno il Corno (Koren) vero e proprio che scende la San Gabriele ricevendo fra le altre le acque del torrente Brestnikov e l’altro il Canale Corno (Kanal Koren) che si forma nei pressi della trattoria gostilna Komel (famosa per i gamberi di fiume che un tempo provenivano dalle acque dei dintor ni) e ha come principale affluente il torrente Lesina. Il Kanal Koren è il risultato di una bonifica realizzata nel dopoguerra in previsione della costruzione di Nova Gorica. I due tronco ni del Corno si uniscono prima della città. Poi l’ingegnere, sempre in ottimo italiano, espone con dovizia di particolari la situazione attuale del torrente che scorre attraverso le due Gorizie (inquinamento, pericolo di esondazioni, necessità di intervenire sul territorio con opere di prevenzione, questioni economiche e politiche che gli interventi sul Corno pongono ai due stati confinanti) e quindi mi invita a fare un sopralluogo in zona anche per correggere alcune informazioni errate sulle sorgenti del torrente che si trovano in qualche pubblicazione di Gorizia (risultato di tanti decenni di non comunicazione). Saliamo dunque sul San Gabriele in automobile prendendo la strada del Kekec. Superata la chiesetta di Santa Trinità a un bivio prendiamo la stradetta a destra e dopo un po’ ci trovia mo sul sito delle sorgenti, fra le case di Bonetovsce e Fajdi govsce. Lassù il Corno è un bel ruscello dall’acqua limpida, con un percorso breve e ripido, che in occasione di temporali o nubifragi si riempie d’acqua in modo impressionante e per non più di un’ora si getta fragorosamente a valle, qualche volta con esiti distruttivi.
“Dopo le alluvioni del 1983 e del 1987 che così gravemente hanno colpito Nova Gorica e Gorizia – dice l”ingegner Gabri jelcic – abbiamo costruito un bacino di contenimento (o di laminazione) che in caso di pericolo può trattenere un milione di metri cubi d’acqua. Adesso andremo a vederlo”. Il luogo si chiama Pikolud e la stazione di comando del bacino, co struita nel 1989, si può vedere dalla strada subito dopo il tun nel che porta dalla Casa Rossa a Nova Gorica, sulla destra, posta subito dopo la confluenza dei due tronconi del Corno. Con l’ingegner Gabrijelcic ci rivedremo per approfondire ancora i temi inquinamento e inondazioni. Riparto allora per l’esplorazione in bicicletta del Kanal Koren e punto dritto a Kromberk, alla trattoria dei gamberi. Il titolare, signor Komel, mi dice subito che le nume rose sorgenti dei dintorni si uniscono proprio sotto il suo locale per formare poi un ruscelletto che riaffiora un centinaio di metri più in giù. Infatti, oltre la strada, proprio a fianco degli stabilimenti della MIP (una grossa industria per la lavorazione delle carni) vedo il fiumiciattolo sgorgare da un tubo interrato nella parete di un dosso. Subito più avanti incomincia una stretta strada in terra battuta che una sbarra chiude alle automobili. La stradina, molto suggestiva, si allunga sotto il bosco del Panovec, sulla sinistra, mentre a una ventina di metri sulla destra scorre il nostro torrentello perlopiù nascosto da una fitta vegetazione. Diverse persone fanno jogging o ginnastica. Un centinaio di metri più in là si intravvedono i capannoni della zona industriale di Nova Gorica per una lunghezza di un paio di chilometri. Qui il Corno si impaluda e poi riprende il suo corso più vigoroso ricevendo altri piccoli torrenti; si allontana dal Panovec per costeggiare il colle della Castagnevizza (Kostanjevica), scorre sotto il ponte della strada che collega la Valdirose (Rozna Dolina) con Nova Gorica ed entra nell’a bitato della città. Le sue acque, anche se certamente hanno ricevuto scarichi industriali, a questo punto, non sembrano ancora gravemente inquinate: almeno una volta il gracidio di una rana l’ho sentito, ne sono certo. Il peggio arriverà tra poco, quando riceverà i terminali delle fognature della città. Qui diversi ponticelli attraversano il Corno per unire i caseg giati urbani alle case sparse in campagna. È una zona molto caratteristica per la presenza sulle rive di numerosissimi orti molto curati. Prima la zona industriale e ora questi orticelli riassumono in riva al torrente una caratteristica di Nova Gori ca: la consistente presenza di operai di recente inurbamento convive con un’economia famigliare in cui conta molto il “fai da te”. In prossimità del confine il Corno è coperto, passa sotto la Erjavceva Ulica – proseguimento in Slovenia della via San Gabriele – e i binari della ferrovia Transalpina. Poi en tra in territorio italiano. Qui è scoperto per qualche metro, giallognolo, ingabbiato per scoraggiare espatri clandestini e immediatamente cementificato. Per quasi tutto il percorso goriziano il Corno non si vede, è nascosto, per cui a Gorizia si tratta soprattutto di scoprire le tracce che in superficie te stimoniano la sua presenza sotto l’asfalto. Prosegue dunque cementificato accanto a via Catterini, attraversa la via San Gabriele, costeggia per pochi metri la via Corsica, la sotto passa, passa anche oltre l’isolato che la divide da via Silvio Pellico. Qui, sulla strada, si vede ancora su un suo lato il pa rapetto del vecchio ponte e sul marciapiede dell’altro lato le linee che segnano il vecchio alveo di cemento. Sotto l’attuale pizzeria “Al Lampione” svolta a sinistra e si dirige verso la fine di via Balilla e Largo Pacassi. Proprio sotto il Palazzo
Attems fino alla fine del secolo scorso c’era un ponte (con la sua bra va statua di San Giovanni Nepomucèno) che univa l’attuale piazza De Amicis con via Brass. Proprio sotto questa strada il Corno corre verso Piazzutta, attraversa l’incrocio con via del Seminario (qui il torrente è stato deviato e prosciugata l’ansa che ancora si può riconoscere e di cui parla Diego Kuzmin nel finale del suo articolo) e passa sotto l’alta arcata che unisce via Santa Chiara a via del Seminario. Entra nel giardino della Valletta e, proprio dove questo ha termine riesce allo sco perto sempre nei suoi argini di cemento e prosegue dietro la villa Coronini, passa sotto viale Oriani e ritorna fuori sotto via Ippolito Nievo, dietro al Provveditorato agli Studi. Qui si apre una delle zone più selvagge, sconosciute e misteriose di Go rizia. Il Corno vi scorre libero, nei suoi argini naturali, fra una vegetazione lussureggiante, arricchita da piante domestiche, palme, allori, conifere…, che qui si sono rinselvatichite: una piccola foresta amazzonica nel centro della città. Per averne un’idea panoramica proseguo per via Brigata Casale e quan do sulla destra incontro via del Poggio mi inoltro fino in fondo a questa via che termina con quello che un tempo doveva essere un poggio o un belvedere diventato oggi giardino a terrazze di un’abitazione privata. La proprietaria della casa mi fa gentilmente entrare in quel posto, da cui si spazia sulla piccola e sorprendentemente bella valletta urbana del Corno. La “valletta dell’Eden” termina alla fine di via Brigata Casale quando il nostro torrente torna di nuovo sotto e attraversa gli stabilimenti industriali dell’ex SAFOG. Ormai siamo verso la fine della corsa, e dalla piazzuola dei cancelli della fabbrica rivedo il Corno gorgogliare ancora fra pareti di cemento verso la confluenza nell’Isonzo. L’ultimo tratto è una selva inestri cabile. Ma da via lungo Isonzo Argentina trovo un sentiero che mi porta giusto alla foce. E qui mi siedo su una pietra e contemplo il luogo, mai visto prima. Scoprire il Corno in tutto il suo percorso è stato come aprire una porta o un cancello della città chiuso da decenni. Per lungo tempo il Corno ha rappresentato il limes della città di Gorizia: per attraversarlo a nord, verso la strada per la Carinzia, bisognava superare il ponte che si trovava nella piazza Corno (odierna De Amicis). Attraverso un altro ponte si andava verso il Contado e la Piazzutta mentre per attraversare la valletta del Corno e arrivare a Strazzig si doveva oltrepassare un guado al quale si giungeva percorrendo quella strada che ancora oggi si chiama vicolo del Guado. Poi a poco a poco la città si ingrandisce e il torrente diventa elemento di fastidiosa frattura della struttura urbana, fatto che, unito ai frequenti straripamenti e alla sua destinazione ultima di collettore fognario (dal 1947 la new town di Nova Gorica scarica nel Corno tutti i liquami che poi proseguono verso l’Isonzo) ne determina in breve la copertura, velocemente attuata nel secondo dopoguerra con una di quelle opere di pubblica utilità con le quali si dava so stentamento a larghi strati della popolazione. Adesso lo scenario è nuovamente cambiato e da oltre frontiera giungono segnali confortanti sul necessario ripristino del primitivo stato del Corno – quello di torrente, appunto – con il convogliamento, come dio comanda, dei liquami fognari in un apposito depuratore da costruirsi ad hoc. Nel frattempo permane lo stanziamento miliardario previsto ancora dieci anni orsono con gli accordi di Osimo per la regimentazione del torrente, il cui ultimo straripamento e i danni commessi sono ancora ben vivi nella memoria degli abitanti della via san Gabriele, della riva Corno e in quella degli addetti all’allora museo di palazzo Attems.
[ndr] Quanto descritto da Dario Stasi trova, finalmente si può ben dire, una soluzione positiva nella serie di lunghi e com plessi lavori eseguiti dalla municipalità di Nova Gorica nel costruire e nel collettare le acque reflue urbane dell’abitato nel nuovissimo impianto di depurazione costruito nei pres si di Merna. Tale opera consente non solo una soluzione ad un problema assai annoso ma, un ulteriore passo alla rina turalizzazione almeno parziale del corso del torrente Corno fino all’ingresso in Italia in via S. Gabriele. Rimangono ancora insoluti, nella parte goriziana fino alla confluenza dello stes so nel fiume Isonzo, i problemi relativi agli scarichi dei reflui urbani privati che insistono sul tratto terminale. I lavori di ri pristino e di ampliamento del parco della Valletta del Corno affettuosamente definito il Central Park della città di Gorizia – non hanno decisamente affrontato la questione in merito e qui, la prevista opera di restituzione alla natura del torrente Corno non è stata ancora affrontata con le dovute misure che ci si aspetterebbe dalla stessa fruizione dell’area verde resti tuita finalmente all’uso dei suoi cittadini.
test