QUANDO TRIESTE ERA AMERICANA – BIAGIO MARIN E IL VECCHIO  CONFINE DI DUINO

QUANDO TRIESTE ERA AMERICANA – BIAGIO MARIN E IL VECCHIO  CONFINE DI DUINO

DI DIEGO KUZMIN

Qualcuno ancora ricorda quando da bimbo andava al mare a Sistiana e al posto di blocco di Duino il babbo, che guidava l’auto,  doveva mostrare i documenti per entrare in quello che allora era il  Territorio Libero di Trieste, creato nel 1947 con il Trattato di Parigi, allorché nell’incipit della Guerra fredda lo  scalo triestino faceva comodo agli americani in quanto ancora primo porto dell’Europa centrale, alla quale  era ancora collegato con due ferrovie, la Meridionale e  la Transalpina, strategico per i rifornimenti delle trup pe alleate che in quegli anni occupavano l’Austria e la  Germania meridionale.

E molti poi ricordano anche quelle migliaia e migliaia  di triestini sulle Rive nel 1954, entusiasti per il ritorno  di Trieste all’Italia dopo i sette anni trascorsi con l’Amministrazione alleata, rimpianti da una parte della città come epoca d’oro, spensierata, piena di musica e  di allegria com’erano i giovani americani di allora con  tante sigarette, jazz e gomme da masticare. 

Ma non tutti in quei giorni erano sulle Rive. 

Mancava chi aveva plaudito ai partigiani di Tito il 1°  maggio 1945, e mancavano quegli oltre ventimila triestini emigrati, tra i quali quasi tutti i “cerini”, gli agenti  della Polizia civile, che scelsero l’Australia per ragioni di «continuità anglofona» con la lingua della Amministrazione alleata, se non quando per sfuggire alle rappresaglie dei triestini. Tra gli assenti di allora c’era pure Biagio Marin (1891-1985) il quale, seppure cittadino austriaco, scelse la diserzione per arruolarsi nell’esercito italiano ma che, alla pari di molti intellettuali che  come lui avevano anelato alla Madre Patria, alla prova dei fatti con  la burocrazia della nuova Amministrazione italiana, già dopo il 4  novembre 1918 dovette presto ricredersi.

Secondo Marin a Trieste era stata offerta una seconda chance  con il Territorio Libero sotto l’egida dell’Onu, che grande conside razione teneva del Porto Franco, di fatto abbandonato poi agonizzante fino all’arrivo di Zeno D’Agostino. Una bella avventura,  troppo breve e così nella saggezza di chi a sessanta ne ha viste  molte, il 25 ottobre del 1954 scrive: 

“Trieste è felice stasera.  

Celebra con trasporto la sua futura sventura. Perché tutte le volte  che questa nostra città si è concessa con sconfinato entusiasmo  all’Italia amata, ha subito imboccato la triste strada della decadenza. Noi eravamo il gioiello dell’Impero di Maria Teresa e il porto dell’Austria. Eravamo la rosa profumata degli Asburgo. 

Con l’Italia saremo un piccolo fondaco gestito in modo sbrigativo  dai burocratici e diventeremo una società strozzata e rassegnata  di facili guadagni e di indomabili nostalgie.  

Oggi è cominciato il nostro tramonto.” 

Come riporta la pagina wikipedia dedicata al poeta gradese,  deceduto nel 1985 all’età di novantaquattro anni, il pensiero di  Biagio Marin si trova esposto su una parete del buffet “Impero”  in piazza Libertà a Trieste, dove non mancano altre memorie della “Defonta”, rimpianta ancora da tanti triestini assieme al TLT,  con il Movimento Trieste Libera – Gibanje Svobodni Trst – Bewe gung Freies Triest – Free Trieste Movement, che ha trovato sede  in piazza della Borsa 7, nella bellissima Casa Bartoli progettata  con una cascata di foglie dall’architetto Max Fabiani nel 1906,  al primo piano dove dietro la veranda in origine c’era il ristorante  kosher, con una bella vista sulla piazza d’inverno.