
MONTAGNE A(R)MATE
di LUCIO FABI
Le cime delle Alpi Giulie e gli splendidi scenari della valle dell’Isonzo e del Parco del Triglav sono da sempre luoghi dell’anima per chi ama percorrere i sentieri montani in cerca di panorami, pace e tranquillità. Da qualche tempo, è vero, si lamentano isolati fenomeni di overtourism con relativi consueti inconvenienti, come il sovraffollamento o la scarsa preparazione degli escursionisti, che portano a diverse conseguenze. Tuttavia lo spirito che permeava i romantici escursionisti dell’altro secolo, ma anche le allegre comitive cittadine che nei giorni festivi si sottoponevano a faticose trasferte per raggiungere le cosiddette montagne “fuori porta”, è ancora in gran parte presente nei tanti che oggi frequentano cime rese mitiche da alpinisti come Julius Kugy, definito a ragione “il padre delle Giulie” e i suoi giovani epigoni, come i viennesi Herma ed Erwin Poech, il carinziano Anton Oitzinger o come il triestino di lingua slovena Vladimir Dougan e il friulano di Chiusaforte Osvaldo Pesamosca, che insieme compirono, nel 1914, l’inedita impresa di salire sul Jòf Fuart per la difficile “Cengia degli dei”.
Cime ricche di storia e di bellezza ancor oggi uniscono alpinisti ed escursionisti italiani, sloveni e austriaci in un clima di pace e di amicizia, ma ci fu un tempo, non troppo lontano, in cui quelle stesse cime si armarono, divennero teatro altissimo di un immane scontro di uomini.
La Grande Guerra, oltre a tanti altri immani disastri, volle anche questo. Portò il conflitto dove prima non si era mai osato andare, trascinando cannoni, scavando trincee e gallerie, mettendo un contro l’altro uomini fino a poco prima abituati a scavallare montagne e attraversare vallate.
La dichiarazione di guerra dell’Austria-Ungheria alla Serbia coglie Kugy e i suoi compagni sulle amate montagne, sotto il Jôf Fuart. L’intera valle è in subbuglio. Giunti a Reibl, il giovane Erwin Poech parte subito per Vienna, desideroso di arruolarsi volontario. Morirà nel settembre del ’15 sul Polovnik, nei pressi di Bovec. All’entrata in guerra dell’Italia contro l’Austria, Kugy, a 57 anni, si offre volontario. È un dovere servire la patria, dice, e mette a disposizione della X Armata del generale Rohr la sua esperienza di alpinista. Osvaldo Pesamosca, ormai cinquantenne, diventerà una guida alpina dell’esercito regio. Il ventiquattrenne Dougan, richiamato nel marzo del ’15, assai meno convinto di finire in trincea, farà di tutto per non andare al fronte. Fingerà un attacco epilettico, si darà malato, finché il provvidenziale intervento di Kugy lo farà trasferire al reparto di guide alpine da lui stesso ideato e diretto all’interno della 184ª Brigata di fanteria, sulle amate Giulie diventate teatro di guerra.
L’epopea di guerra di Kugy, Dougan e degli altri componenti del gruppo guide alpine è ben descritta dal lavoro di Flavio Ghio sui Diari di Dougan, l’alpinista, il soldato, numero monografico della rivista “Alpi Giulie” (n. 2, 2018). Nella mia breve presentazione ho definito Dougan un soldato “riluttante”, che grazie a Kugy ha potuto fare la guerra sulle sue amate montagne. Una guerra fatta di pattugliamenti e lavori in quota per preparare osservatori e percorsi sicuri per far arrivare i rifornimenti ai punti avanzati. Anche per imprese alpinistiche, come il consolidamento del presidio avanzato di quello stesso Jôf Fuart che aveva violato, nell’autunno del ’15 attrezzato con corde e scale per far arrivare rincalzi e rifornimenti al presidio della cima. In quello stesso inverno, Kugy organizzerà una vera e propria spedizione in alta montagna per stabilire un presidio armato sullo Jôf Fuart da cui tenere sotto tiro le linee italiane del Sompdogna e del Jôf di Miezegnot, tenuto dai “briganti” della 97ª compagnia alpini del leggendario capitano Carlo Mazzoli.
A oltre 2500 metri d’altezza, in pieno inverno, tra neve e gelo, Dougan è felice, “il più bel dei miei ricordi – scrive – Natale in montagna, desideravo da anni di passare un Natale così, lontano dal mondo”. E da quella sporca guerra, aggiungerei. Una guerra pericolosa, da cui difendersi. Forse per questo motivo, o per spirito di fratellanza, che Dougan, alla guida di una pattuglia in esplorazione lungo la linea del Jôf Fuart, incrociando una pattuglia italiana, alla cui guida c’era il compagno di cordate Osvaldo Fieramosca, evita il combattimento. Era il 13 settembre del ’15. In salita con due compagni nella gola nord est del monte, arrivato alla “Cengia degli dei” di notte, Dougan vede venirgli incontro una decina di alpini provenienti dalla cima di Riofreddo, tra cui riconosce l’amico Pesamosca. I compagni imbracciano il fucile, vorrebbero intervenire, ma Dougan li ferma e lascia passare la pattuglia, per poi proseguire verso la cima del Jôf Fuart. Questo trapela dai racconti tramandati nelle sere d’inverno dai valligiani, riportati dal libro di Ingomar Pust, 1915-1918: il fronte di pietra (Mursia, Milano 1987). Ovviamente Dougan nei suoi appunti cita tutt’altro, sarebbe stata una grave infrazione alle regole, anche se Kugy, nei suoi appunti di guerra, scriverà che “in azione di pattuglia, in caso di pericolo estremo, tra la volontà dell’ufficiale e l’esperienza della guida, a prevalere è la seconda, cosa non prevista dal codice militare”.
Del fatto si è tratto anche un film, Vie di pace di Samantha Faccio, tanto l’episodio appare suggestivo. L’incontro di due amici, due montanari divisi dalla guerra, che non vogliono sottostare alle regole della guerra: sparare, attaccare, neutralizzare il nemico. Sono amici e a queste regole oppongono l’universale “male non fare, paura non avere”, il primordiale istinto animale di evitare il più possibile il pericolo, lo scontro.
Le montagne non vogliono confini, questo è certo. Così come è certo che gli uomini di montagna sembrano legati da una fratellanza che va oltre la diversa divisa. Anche se non mancano, nella letteratura della cosiddetta “guerra bianca”, episodi che dimostrano esattamente il contrario. Ma Dougan è un “soldato riluttante”, e anche fortunato, perché dopo diverse pericolose azioni in quota, nell’estate del ’17 Kugy lo chiama alla Scuola di roccia di Soča come sua guida personale.
Sulle operazioni belliche sulle Giulie e in generale sulla guerra alpina si è scritto molto, e molto si sono esaltate le gesta di uomini di fibra eccezionale, perché prima del nemico bisognava guardarsi dalle condizioni atmosferiche e dal durissimo clima di alta montagna, che produsse più vittime dei combattimenti in quota. Mai prima e neanche in seguito si combatté più in quel modo eroico e assurdo, abbarbicati in quota, dentro baracche o gallerie di ghiaccio, in attesa di un nemico vicino ma invisibile, alle prese con gli stessi problemi di sopravvivenza.
La guerra di Kugy, di Dougan e dei loro compagni rocciatori può forse apparire come un’impresa sportiva, ma non dobbiamo dimenticare che la morte era sempre in agguato, anche sulle più alte cime. E quando, in una operazione di recupero di aviatori italiani caduti con il loro aereo Caproni a causa della nebbia, Dougan si trova ad accompagnare a valle con la sua squadra il più grave dei due, non può celare la pena per quel nemico ormai non più tale, a sua volta contento di poter parlare in italiano con il suo soccorritore. Qualche parola per sostenere lo spirito del ferito, diventato amico nella disgrazia, che volle regalargli la sua pipa. Dougan non l’accettò, forse già intuiva che quell’aviatore non sarebbe sopravvissuto al congelamento in atto. Così fu, morì il giorno dopo all’ospedaletto da campo.
Protagonisti sulle vette, comprimari nella più eclatante azione di guerra in montagna organizzata dai comandi austroungarici con il determinante appoggio dell’alleato germanico, Kugy e Dougan assistono da lontano alla preparazione e alla messa in atto dell’attacco austro-tedesco alle linee italiane dell’Alto Isonzo, che si concretizzò nello sfondamento del fronte tra Plezzo e Tolmino e alla conseguente occupazione del Friuli e di parte del Veneto.
Alla fine del conflitto, finito anzitempo per Dougan a causa dell’acutizzarsi di un provvidenziale “mal di petto”, gli amici di un tempo, quelli sopravvissuti, si riuniranno nuovamente ad un anziano Julius Kugy ai piedi delle amate Giulie. Avendo combattuto con la divisa dei perdenti, Dougan subì nel dopoguerra l’inevitabile oblio riservato ai militari dell’ex impero. Certo se ne sarà crucciato, ma voglio credere non troppo. Ritroverà presto il vecchio maestro, una giovane moglie, altre splendide avventure e soprattutto le sue montagne, senza armi e trincee questa volta.
Articolo originale in Italiano.