CARLO TAVAGNUTTI – UNA PASSIONE SENZA CONFINI

CARLO TAVAGNUTTI – UNA PASSIONE SENZA CONFINI

di AGOSTINO COLLA

 

Carlo Tavagnutti, goriziano, classe 1929, fotografa dagli anni ’50 dedicandosi principalmente al paesaggio alpino e alle testimonianze di vita sulle “terre alte”. Cura i servizi fotografici di Alpinismo goriziano.  Sue fotografie sono apparse sulle riviste Alpi venete, Iniziativa Isontina, Sot la Nape, e su numerose opere editoriali: Julische Alpen (1978); Tricorno 1778-1978 (1978); Őstliche Dolomiten (1979); Alpi Giulie Occidentali (1983); Il Carso Isontino (1984); Dalla vita di un alpinista (1985), Le arti a Gorizia nel secondo ‘900 (1987), Il mito del paesaggio nella fotografia del Novecento in Friuli (1988);  Isonzo (1991), Giovanni Paolo II in FVG (1997); Il Friuli Venezia Giulia e i suoi grandi vini (1997). Volo con l’aquila: immagini e pensieri sulle Alpi Giulie(1998), Echi dalle Alpi orientali – 125 anni di cultura alpina a Gorizia (2008). È socio onorario della sezione di Gorizia del Club Alpino Italiano e del Circolo Fotografico Isontino B.F.I. di Gorizia, nonché accademico del GISM (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna).

 

Conosco Carlo da quasi cinquant’anni e con lui ho conosciuto la montagna attraverso la fotografia che pratica da una vita. La fotografia di montagna è Carlo Tavagnutti, senza ombra di dubbio e senza incertezze. Le Alpi, le Giulie in particolare, sono un amore antico, pieno di passato e di sogni. Territori aspri, difficili e, al tempo stesso, luoghi per meditare e ascoltare il ritmo lento dei segnali della natura e della bellezza dei suoi orizzonti. La continuazione di questo incanto, la fascinazione di questi istanti sono testimonianze raccolte dalla luce e dalle ombre impresse in queste fotografie. Il colore narra un luogo così come la realtà ce lo presenta. Il bianco e nero di Carlo Tavagnutti ci riporta a una dimensione senza tempo, ove sentimenti, pensieri, sogni veri sono aumentati nella memoria che si fissa nella nostra mente. Queste immagini in bicromia sono un invito a godere di queste pietre di bianco calcare. Che sia la Forcella del Vallone o la cima del Tricorno, l’invito è quello di andare, salire, con passo lento, osservando con cura la natura severa che ci circonda. La natura, in queste immagini, può rappresentare un fiore di elleboro, uno stavolo che ci racconta un passato oramai dimenticato, quello che queste immagini non dimenticano però sono i doni che questa montagna ci offre. Queste foto in bianco e nero sono un invito alla lentezza, alla riflessione, colgono orizzonti lontani nell’aria tersa del mattino. Suscitano lo stupore di un bambino e ti accompagnano nella luce che ne delinea i contorni severi. Sono la memoria di un sogno e la bellezza del silenzio delle sue cime. Sono un inno alla vita e una ricchezza per l’uomo che ne conosce il valore.

 

Nella primavera del 2025, durante il Congresso annuale dei Delegati svoltosi nella città di Catania, è stata conferita a Carlo Tavagnutti la Medaglia d’Oro da parte del Presidente Nazionale del CAI con la seguente motivazione: “ll prestigioso riconoscimento gli è stato attribuito «per aver narrato, con la fotografia in bianco e nero, l’anima delle Alpi, contribuendo a unire culture e generazioni oltre i confini, nel segno dei valori del Sodalizio e di una montagna che è memoria e futuro». Un tributo alla sua straordinaria sensibilità e al suo lungo impegno nel raccontare il mondo alpino attraverso immagini che restano nella memoria collettiva.

(Assemblea Nazionale dei Delegati del CAI – Club Alpino Italiano per il conferimento della MEDAGLIA D’ORO al goriziano CARLO TAVAGNUTTI, classe 1929, socio del CAI Sezione di Gorizia APS ETS dal 1957).

Inizio questo racconto dopo ore passate assieme, nelle quali ho avuto il piacere di conoscere cose, fatti e personaggi sconosciute ai più. Un dialogo serrato, molto interessante e preciso in cui i ricordi sono ancora vivi e ancora fissi nella memoria di questa persona che indubbiamente ha fatto sia della fotografia che dell’amore per la montagna veramente una propria ragione di vita.

Le mie intenzioni iniziali erano quelle di farne una intervista. Ho ritenuto, però, che un racconto avrebbe potuto far conoscere l’uomo, la persona, le sue passioni, con maggiore completezza. Il risultato che ne esce fa capire qual è l’approccio di Carlo Tavagnutti verso la montagna, la sua passione per la fotografia, il rapporto di lavoro con Alpinismo Goriziano e il GISM (Gruppo italiano scrittori di montagna) che lo annovera tra gli accademici in quanto scrittore della montagna.

Tavagnutti è uno dei più profondi conoscitori delle nostre cime, siano esse le Carniche o le Giulie. Ha conosciuto i problemi ad esse connessi, comprese le storie e i personaggi locali e le vicende ad esse collegate. In particolare, costantemente, Carlo ha coltivato oltre che la passione per la montagna la capacità di parlarne, di descriverne i tempi, le situazioni e i modi e questo non solo attraverso la particolare fotografia in bianco e nero ma soprattutto attraverso gli scritti, gli schizzi, i disegni e gli acquerelli che nel corso della sua lunga vita ha tratteggiato facendoci conoscere una realtà ormai radicalmente cambiata per tanti versi. Una montagna che sembra essere, nei suoi ricordi, quel qualcosa che le persone hanno dimenticato. Cose che sono profondamente e radicalmente cambiate per una serie innumerevole di fattori, il più delle volte antropici e sociali, determinando il lento e progressivo abbandono della montagna da coloro che abitavano e lavoravano in quei luoghi. Per Carlo però è ancora giusto cercare di raccontarle e di far rivivere tali storie e vicende umane e riportarle ad un pubblico più giovane che non ha conosciuto questo ambiente e questo mondo ignorando le radici che lo hanno formato nel corso del tempo. È, se vogliamo, un po’ lo scopo di tutta una vita, affinché queste conoscenze complesse possano ancora avere voce perché narrate da chi è in grado di farlo. Queste memorie nascono in un tempo lontano che ha portato Carlo Tavagnutti ad essere ora un socio onorario del Club Alpino Italiano della sezione di Gorizia. Socio da quasi 70 anni anche se, diciamolo, la sua passione e il suo amore per la montagna sono di ben più vecchia data.

Ma cominciamo qui il nostro racconto. Carlo Tavagnutti: la montagna e la fotografia. Indubbiamente questo binomio in Carlo è di origine familiare.

L’avvicinamento alla montagna nasce per via paterna verso la metà degli anni ’40. Un episodio vorrei ricordare ed è quello riferito all’attività militare nel Regio Esercito del padre Giacomo (Jacum).  Nel primo conflitto mondiale egli operava in qualità di geniere minatore presso il Genio militare dell’esercito italiano di stanza nelle Alpi Giulie presso la località di Nevea. Aveva con sé, per propria passione, due apparecchi fotografici a cassetta, lastre fotografiche con le quali riprendeva scene di vita, ritratti di amici e qualche paesaggio per suo diletto. Dopo la conquista di Gorizia nell’agosto del 1916 venne chiamato lì a svolgere i propri compiti militari ed essendo impossibilitato a portare con sé tale materiale si operò affinché venisse conservato alla meglio impacchettandolo con carta catramata sotterrandolo nei pressi del luogo dove operava in montagna. A distanza di più di quarant’anni dal primo conflitto mondiale, solamente negli anni ‘50, assieme al figlio Carlo si recò nuovamente sui luoghi nel tentativo ormai vano di ritrovare il materiale lì nascosto tanto tempo prima.  Il tempo, la natura dei luoghi trasformati dai lunghi anni trascorsi o, semplicemente il fatto che il materiale molto probabilmente era stato prelevato da mano ignota vanificarono tali ricerche.

La passione per la fotografia, praticata solamente dalla metà degli anni cinquanta quando il nostro Carlo entrò in possesso di una bella macchina fotografica reflex. Un fortunato incontro con un suo commilitone, mentre si trovava, in qualità di ufficiale istruttore alla scuola di preparazione per ufficiali alpini in quel di Cesano di Roma, gli permise di entrare in possesso di una Contaflex con obbiettivo Zeiss f2.8 – che ha anch’essa una lunga storia alle spalle. I primi contatti con l’ambiente montano sono stati determinati dal fatto che il nostro, all’inizio degli anni Quaranta, accompagnò in un lungo peregrinare per le Alpi Carniche e Giulie, un anziano amico di famiglia, tale “Dolfo”, appassionato ricercatore e gran raccoglitore di stelle alpine e regine delle Alpi. In tale maniera, oltre a conoscere anche la stupenda flora alpina gli permise di comprendere ed appassionarsi all’ambiente dei monti. Per la fotografia invece, le opere di Arturo Avanzini, il grande fotografo alpinista e botanico del CAI di Gorizia, sono state da esempio e stimolo per il lavoro fotografico di Carlo Tavagnutti. Una fotografia rigorosamente in bianco e nero. Ciò che ancora oggi Carlo continua a fare avendo, alle spalle, un patrimonio iconografico assai consistente che gli permette di esprimere la sua passione attraverso le pagine di Alpinismo goriziano, organo della sezione CAI di Gorizia. Con il tempo ed affinando la propria sensibilità, queste immagini hanno dato modo al nostro di poter sviluppare i negativi e stampare i positivi secondo un metodo ben preciso; arrivando ad una attenzione particolare tutto sommato abbastanza innovativa per il tempo. I toni del bianconero, proposti da Carlo, piuttosto contrastati e decisi producono una stampa quasi al limite del drammatico riuscendo, però, a dare una profondità e una plasticità al soggetto raffigurato, sia esso un costone di una montagna, l’avvicinarsi di una sella, una cima innevata, oppure un fiore rappresentato da un elleboro o da una stella alpina. In effetti questo modo di fotografare e soprattutto di stampare è la cifra unica che caratterizza l’opera del nostro Carlo Tavagnutti ancora oggi anche se il lavoro in camera oscura ormai è venuto un po’ meno per motivi di età. Tutte le sue stampe di tutti quanti i suoi lavori, tutta la sua sterminata produzione presentano queste caratteristiche peculiari e come tali sono, ancora oggi, il materiale e le testimonianze che Alpinismo goriziano, organo editoriale della sezione goriziana del Club Alpino Italiano, utilizza per la propria rivista.

Una parte importante per ciò che riguarda la fotografia di Carlo è “Volo con l’aquila: immagini e pensieri sulle Alpi Giulie”, edito nel 1998 da parte del club italiano sezione di Gorizia, che riporta in esso le sue fotografie e gli importanti testi di Celso Macor. Cito appositamente l’assunto iniziale di questa bellissima pubblicazione per rendere merito sia alle parole di Macor che alle immagini di Carlo: “la montagna che presentiamo è una montagna rivissuta con amore antico, è una montagna piena di passato e di sogni. Una montagna che sentiamo con un animo adulto in ritorni carichi di riflessione in un farsi profondo di sentimenti di mistero e di magia. [..] Questa è la montagna degli alti paesaggi, delle vette dove la sosta è più lunga e meditata ed il dialogo ha ascolti lenti. È il godere la grandezza sconfinata di un fiore, è l’accendersi di panorami che si colmano di armonie e di corali solenni, è il cogliere i segnali della natura e del prodigio di ogni vita. È questo un camminare su e giù improvvisando una salmodia pronunciando un grazie a capo chino per il dono di tanta bellezza. Un camminare ascoltando “il ronzio del silenzio” come scriveva Ervino Pocar aspettando “il nascere del mito”. Abbiamo cercato, scriveva Julius Kugy, di non lasciar “morire con noi” pensieri e sentimenti, sogni veri incanti alpini che anche a noi sono passati davanti, momenti che ci sono appartenuti e che vogliamo protrarre nella memoria di un libro[…] (citazione dall’introduzione all’opera “Volo con l’aquila: immagini e pensieri sulle Alpi Giulie” (B&V Editori Gorizia 1998)

 

Carlo Tavagnutti e la collaborazione come articolista scrittore con Alpinismo goriziano e come Accademico facente parte del GISM (Gruppo italiano di scrittori di montagna)

Un’altra pubblicazione che aiuta a far capire come si collochi Carlo Tavagnutti in qualità di collaboratore, articolista e scrittore con Alpinismo goriziano, testata del Club Alpino Italiano della sezione di Gorizia, unitamente al fatto che Carlo venga annoverato tra gli accademici del GISM( Gruppo italiano scrittori di montagna) è il testo dal titolo “Echi dalle Alpi Orientali – 125 anni di cultura alpina”, edito nel 2008, che è un po’ il sunto importantissimo di tutto ciò che l’alpinismo ha significato non solo per la sezione CAI di Gorizia ma per tutto ciò che è stato ed è il rapporto di Gorizia con la montagna.  Rapporto duraturo e piuttosto fecondo, documentato fino alla creazione della sezione Goriziana del CAI. Il testo in particolare riporta scritti di persone come Antonio Seppenhofer, Ervino Pocar, Eric Tuma, Celso Macor, Tiziana Weiss, Mario Lonzar, Sergio Tavano, Spiro Dalla Porta Xydias e tantissimi altri. Il testo, e cito da esso “[..] alla grande varietà degli autori, spesso di grande valore umano e letterario, corrisponde una non meno grande varietà di temi trattati. Questi riflettono le forme e gli interessi delle culture Alpine e alpinistiche a Gorizia, dove da prima erano attive anche società Alpine di lingua tedesca e slovena. Viene in chiara luce l’atteggiamento riservato dei goriziani senza però che questo riesca a velare un costante impegno civile e culturale. Emerge perciò una inveterata e abituale visione tanto eticamente severa quanto largamente aperta in senso squisitamente europeo sul variegato e difficile mondo dell’arco alpino orientale[..]” Dalla lettura dei vari testi in questa pubblicazione emerge con forza il rapporto che Gorizia ha costruito con la montagna e questo grazie al CAI. Grazie a tutte queste personalità il legame che la città ha avuto con la montagna negli anni, a partire dalla fine dell’ottocento e, sicuramente per tutto il novecento, è stato fecondo, duraturo, espresso con forza e costanza da tutti coloro i quali, frequentando la montagna, ne hanno parlato, ne hanno descritto le caratteristiche peculiari facendole amare. Sono stati gli artefici e i testimoni il cui lavoro è riuscito a far conoscere profondamente le Alpi Orientali.  Non vanno dimenticati anche se, al giorno d’oggi, questo rapporto fecondo sembra essersi ridimensionato, quasi diluito, per molteplici fattori Un ricordo e un’iniziativa veramente meritoria e che ancora oggi ricordiamo con molto piacere e che ha tracciato una via poi intrapresa da altri e che ha portato, agli inizi degli anni ‘60 del novecento alla creazione delle 30 cime dell’amicizia ovverosia una forma di collaborazione fra i vari Club Alpini dei paesi contermini dell’arco alpino orientale, Carinzia e Slovenia nello specifico. Tale forma di amicizia ha portato a forme di partecipazione intensa e assai produttiva. L’idea di stimolare gli incontri tra gli amici della Montagna delle tre regioni contermini Carinzia, Friuli Venezia-Giulia e Slovenia, almeno una volta all’anno, è nata nel lontano 1953, all’inaugurazione del monumento a J. Kugy, in Val Trenta. Di tutte le iniziative alpinistiche comuni, ha avuto il maggior consenso l’idea di Miha Potočnik, Karl Kuchar e Mario Lonzar, le “Cime dell’Amicizia” ed i “Convegni Alpi Giulie”, dopo il primo incontro avvenuto a Villaco nel 1965. Allo stato attuale, e proprio su indicazione del CAI di Gorizia, le Cime dell’Amicizia, oggi, sono diventate 60, 20 per ogni regione. Sicuramente questo speciale e coinvolgente modo di concepire la montagna permettendo di viverla in maniera consapevole è stato un volano positivo che ha permesso a moltissime persone di conoscere e apprezzare le cime delle Alpi Carniche e Giulie ma, allo stesso tempo, avvicinare nel passato e nel presente tante generazioni di goriziani. Oggi, però, i tempi sono radicalmente cambiati e anche la frequentazione della montagna ha subito grandi cambiamenti; vuoi per i mezzi di trasporto, per l’accurata segnaletica dei percorsi e anche per l’enorme proliferazione di guide che interessano l’intero arco alpino e che facilitano escursionisti e alpinisti, facendo così nascere nuove forme di associazionismo. Le scene odierne degli accessi facilitati alle nostre montagne, letteralmente preda di un numero impressionante di persone, alle volte anche mal equipaggiate, gli accessi ai vari sentieri resi percorribili da ogni mezzo, la produzione indiscriminata e colpevole di rifiuti dei gitanti montani, la scarsa preparazione unita ad una diffusa e generalizzata maleducazione, l’interesse spasmodico dei vari “social” riguardanti il fenomeno montagna sono un vero problema da riconsiderare. L’attenzione della stampa in questo periodo estivo rimarca proprio tali incongruenze. Quello che forse proprio manca consiste nel fatto che, venendo a mancare la cultura di una certa attività e i criteri corretti per fruire in maniera consapevole di un bene che consideriamo comune portano a questi comportamenti perversi che nulla hanno a che vedere con l’amore e il rispetto per la montagna. Tutti questi fattori più e più volte ricordati nei suoi articoli presenti su Alpinismo goriziano delineano e confermano lo stato attuale delle cose riguardanti la montagna e la sua fruizione consapevole. Il solco, nel quale collocare la figura di Carlo Tavagnutti è questo; per l’amore e la dedizione alla montagna, la sua conservazione consapevole frutto di una conoscenza articolata e complessa dei molteplici fattori che la caratterizzano e che ne tracciano la storia. Una storia e un legame imprescindibile.

Un atto d’amore da conservare e far conoscere:

 

Buona vita caro amico mio.

 

Per approfondire: https://www.caigorizia.it/   –  https://spdg.eu/



Articolo originale in Italiano.