MONDO AMARISSIMO
di FRANCO JURI
Questa volta inizio parafrasando il titolo dell’interessantissimo libro di Raoul Pupo, noto storico triestino, Adriatico amarissimo-Una lunga storia di violenza, uscito quest’anno a marzo. Si tratta senz’altro di un libro piuttosto stonato nel contesto della narrativa dominante, concordata e diffusa in Italia, con ampio consenso politico, dal centro-sinistra all’estrema destra, soprattutto dopo il 2004 e l’istituzionalizzazione del Giorno del Ricordo, che ogni anno, il 10 di febbraio, commemora le vittime delle foibe e dell’esodo in Istria e Dalmazia, il tutto inteso come una pulizia etnica anti-italiana. Pupo, competente conoscitore della storia contemporanea dell’area adriatica di frontiera, è stato membro della Commissione mista storico-culturale italo-slovena, che nel 2000 concluse un lungo lavoro di ricerca condivisa sui rapporti italo-sloveni dal 1880 al 1954, iniziato nel 1993. La relazione storica, voluta allora dai due governi, è poi finita nel profondo di qualche cassetto nelle scrivanie della Farnesina, non essendo in linea con la retorica giornoricordista. Pur non avendo ascendenze comuniste o di sinistra, Pupo non è amato dalla destra nazionalista, a causa del suo certosino impegno storiografico basato sui fatti e non sui miti. Ma non è certo un “negazionista”. Di esodo, foibe e repressione comunista jugoslava ha scritto tantissimo, ma lo ha fatto sempre contestualizzando storicamente i fatti e le tragedie che in Istria, in Dalmazia e nell’allora Venezia Giulia, non ebbero inizio né nel 1943, né nel 1945. Con prove e documenti ha ridimensionato i numeri delle vittime lievitati a dismisura dalla propaganda e dalla mitizzazione e smentendo la tesi del genocidio slavo anti-italiano, tanto sbandierato ad ogni occasione, rivelando però al contempo, con documenti alla mano, i metodi criminali e il lavoro sporco degli apparati repressivi jugoslavi, l’OZNA in primis, nei confronti dei nemici ideologici che nell’area di frontiera spesso prevalevano tra gli italiani.
E altrettanto ha fatto per quanto nel ventennio fascista, ma anche prima, ha generato le ondate di violenza a ridosso dei confini etnici dell’area adriatica. Pupo non si ferma davanti ai tabù e alle linee rosse tracciate della narrazione nazional-patriottica, e imputa all’irredentismo di aver acceso la miccia della violenza e dell’odio inter-etnico già alla fine del 19. secolo. Non a caso inizia il racconto con Wilhelm Oberdank, l’italianissimo eroe dell’irredentismo anti-austriaco Guglielmo Oberdan, figlio di madre slovena, che il 2 agosto 1882, lancia una bomba “Orsini” sulla folla che festeggia il cinquecentesimo anniversario della dedizione di Trieste all’Austria. Molti feriti e un morto, italiano.
Inizia così una sanguinosa saga che si articolerà nella “Grande guerra”, voluta anche da fanatici vati come D’Annunzio, poi nel fascismo squadrista e di frontiera, con inizio nel rogo del Narodni dom a Trieste, nell’italianizzazione forzata di sloveni e croati, nella resistenza slovena del TIGR/Borba con metodi considerati terroristi, ma non dissimili da quelli degli “eroi” irredentisti, con la repressione del regime, i tribunali speciali, le fucilazioni, e poi la seconda guerra mondiale, l’invasione italiana di mezza Slovenia, la resistenza jugoslava guidata dai comunisti di Tito, le atrocità dell’esercito occupatore nei confronti della popolazione civile. E poi, la vittoria dell’esercito partigiano, il terrore rivoluzionario, le foibe, la repressione, gli arresti, le vendette. Un turbine di violenza che Pupo descrive magistralmente, coinvolgendo soprattutto il lettore che abbia almeno un minimo di nozioni storiche o sia in qualche modo legato, via genitori o nonni, a queste terre. Pupo non fa sconti a nessuno e soprattutto sa contestualizzare in termini cronologici. Lo fanno, per fortuna, anche altri storici e scrittori italiani, ma pure loro nell’indifferenza della politica, senza riuscire a incidere sui miti nazionali e nazionalisti fatti propri dai governi e dall’establishment. Lo ha fatto con superlativa e documentata letteratura Antonio Scurati nella saga su Mussolini. Lo ha fatto lo storico torinese Eric Gobetti, scrivendo dei soldati e partigiani italiani della Brigata Garibaldi in Montenegro, dimenticati dall’Italia o persino considerati traditori perché passati, dopo l’8 settembre 1943, dalla parte della resistenza jugoslava di Tito. Lo fanno vari storici di confine, considerati più schierati in quanto di sinistra o sloveni; Alessandra Kersevan, Jože Pirjevec, Gorazd Bajc, Borut Klabjan, e altri. Qualche settimana fa è stato ospite della TV slovena e della trasmissione Intervju (Intervista) lo scrittore e storico italiano Alessandro Barbero, intervistato da Janko Petrovec, per diversi anni brillante inviato della TVSLO a Roma. Barbero, che in Italia non ha bisogno di particolari presentazioni, ha interloquito anche lui da storico controcorrente, senza badare ai doveri patriottici, ai miti nazionali, anzi dimostrandone le tante falsità, le incongruenze, ed esprimendo preoccupazione per un revisionismo che ormai, anche o soprattutto in Italia, arriva al punto di criminalizzare la Resistenza e l’antifascismo e a considerare gli Alpini della Julia morti in Russia, paese che avevano invaso insieme ai tedeschi su ordine di Mussolini, eroi e martiri caduti per la nostra libertà. E sul mito della Grande guerra non ha dubbi; nel 1915 fu l’Italia, dopo lunghi tentennamenti, voltafaccia e calcoli opportunisti, ad attaccare l’Impero austro-ungarico, adducendo gli stessi argomenti che nel febbraio 2022 hanno portato la Russia ad attaccare l’Ucraina; quelli di liberare, redimere gli italiani “trattati male” nell’Impero. Barbero precisa con un po’ d’ironia; i russi comunque in Ucraina hanno avuto un trattamento peggiore di quello degli italiani nell’Austria-Ungheria. Eppure quella tipica guerra imperialista, vinta a stento a fianco degli alleati e con tantissimi morti e successive frustrazioni territoriali, è ancor oggi considerata “Grande”.
Quali insegnamenti possiamo trarre dalle storie amarissime delle nostre terre di confine raccontate da eminenti storici, intellettualmente onesti, nell’inquietante e sempre più distopica attualità che porta persino uno statista pacato come il presidente Mattarella a paragonarla con l’infausto 1914? Un’attualità fatta di orrori striscianti, di paure e paranoie, di istinti guerrafondai, di speculazioni armamentiste, di guerre di posizione, di guerre di sterminio, di genocidio. Con il paradosso che a compierlo, questa volta in diretta, quasi si tratti di un reality show, sono i detentori di uno stato nato nel 1948 per alleviare i sensi di colpa di un’Europa, che scaturita dalla Grande guerra, ha reso possibile l’Olocausto, il grande, sistematico massacro nazista degli ebrei. Un genocidio. Ma forse anche per garantire all’Occidente un’ultima fedele ed efficace enclave, un residuo coloniale nel Vicino Oriente e nel mondo arabo. E per colmare gli apparenti paradossi, ecco che gli eredi degli aguzzini di ieri, i neofascisti, i neonazisti, le estreme destre religiose, tifano ed esultano, in nome dell’islamofobia, per l’Israele dei Netanyahu, dei Ben Gvir, degli Smotrič, degli Yoram Hazony, accusando di antisemitismo (loro?) chi solidarizza, e tra questi anche tanti ebrei democratici e progressisti, con il martoriato popolo palestinese. Ci chiediamo come sia possibile che la storia non abbia insegnato nulla, che tanti figli e nipoti delle vittime di ieri, siano diventati gli aguzzini ed i carnefici di oggi e accolgano a braccia aperte il sostegno delle estreme destre, identificandosi con queste. E come mai l’Europa e gli Stati Uniti, il cui mito democratico sta definitivamente crollando con Donald Trump, e nel vecchio continente con i manganelli della polizia tedesca, le censure, le ipocrisie e le omertà dei vertici EU, non sanno nuovamente come reagire e agire, ma farneticano, con stridenti dissonanze, su una grande guerra di difesa contro la Russia e il suo imperialismo.
La storia ci insegna che i nazionalismi possono diventare una gran brutta bestia. In passato il buon nazionalismo democratico e idealista di Mazzini e Garibaldi divenne presto imperialismo, colonialismo e poi fascismo. Lo stesso sta avvenendo con il sionismo, nato in Europa da un’idea di sapore biblico dell’ebreo austriaco Theodor Herzl, con le tipiche caratteristiche dei movimenti risorgimentali-nazionalisti, ma finito per favorire, con la complicità della guerra permanente, la sua insita corrente razzista – quella del popolo eletto – e di conseguenza fascista. Eppure poteva andare diversamente, se Israele avesse imboccato la strada della pace, del compromesso, dei due popoli in due stati e della convivenza tra israeliani e palestinesi, tracciata da politici intelligenti, pragmatici e lungimiranti quali Yitzhak Rabin e Jasser Arafat. Ma la storia, l’abbiamo visto, sa essere il più delle volte amarissima. Rabin venne ucciso da un fanatico sionista. A Gaza trionfò, contro l’OLP, e con l’aiuto di Netanyahu, l’intransigente Hamas. Il resto è ormai cronaca.
Articolo originale in Italiano.