
MUSSOLINI NON È MIO CONCITTADINO
di ELEONORA SARTORI
Partiamo da una data: 26 febbraio 2025. In questa giornata il Comune di Salò ha revocato la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini. «Con questa revoca non intendiamo assolutamente cancellare la storia, né esimerci dal fare i conti con essa» – ha dichiarato il giovane sindaco della città lombarda, Francesco Cagnini – «Non cancelliamo nulla» – ha aggiunto –. «Quella pagina della nostra storia, per quanto drammatica, resta. Ribadiamo semplicemente che, alla luce dei valori costituzionali e democratici che, come amministratori, siamo chiamati a rappresentare, Benito Mussolini non merita alcuna onorificenza dal Comune di Salò. E questo purtroppo è tutt’altro che anacronistico». La cittadinanza onoraria, concessa nel 1924 con 12 voti favorevoli e 3 contrari e la cui revoca era stata respinta dalla maggioranza di centro-destra nel 2019 e nel 2020, fu decisa dal commissario prefettizio che governava Salò nel 1923 al posto del disciolto Consiglio comunale. La revoca per la cittadina lombarda ha un valore simbolico e un’eco maggiori, perché proprio a Salò, nel settembre 1943 e fino al giorno della Liberazione il Duce insediò la capitale della Repubblica Sociale Italiana.
Proseguiamo con un’altra data: 11 novembre 2024. Con un delirante discorso di 21 minuti, il sindaco di Gorizia, intervenendo in nome e per conto dell’intera maggioranza, ha bocciato un’analoga mozione, presentata dalla sottoscritta e sostenuta dall’intera minoranza di centro-sinistra. Anche in questo caso il tentativo era già stato fatto, senza successo, all’epoca del sindaco Ettore Romoli (in passato candidato di bandiera del Movimento Sociale Italiano) e non rifatto (onestà intellettuale impone ricordarlo) nell’unica parentesi di governo cittadino di centro-sinistra. Denominatore comune, allora e oggi, il comportamento discutibile della componente slovena del Consiglio comunale: in passato parte della maggioranza distratta e smemorata che non ha avanzato la proposta, oggi parte della minoranza che abbandona l’aula prima del voto.
Perché riproporre la questione? Basterebbe anche “solo” l’antifascismo insito nella nostra Costituzione, ma questa volta c’è di più, molto di più. Nel 2025, nel frattempo arrivato, Gorizia assieme alla slovena Nova Gorica è Capitale Europea della Cultura, la prima transfrontaliera nella storia delle Capitali europee della Cultura. Ottenere un riconoscimento così prestigioso grazie alla vicina Slovenia (perché, ricordiamolo, toccava proprio a questo paese candidare una città), con tutto ciò che esso porta con sé, doveva ridurre l’amministrazione a più miti consigli, ma di mite nella reazione politica del sindaco e della maggioranza alla richiesta non c’è stato nulla.
«Qual è l’utilità della revoca di una cittadinanza, che appartiene alla storia e che va inquadrata ed eletta nel contesto in cui fu conferita? Questa però si tradurrebbe “de facto” in un falso storico; infatti, questa proposta assume molte similitudini con quella furia iconoclasta con la quale, lo rammentiamo tutti assai bene, i talebani abbatterono i due Buddha nel 2001 in Afghanistan, un salto nel tempo di oltre 20 anni, quando, è il marzo del 2001, due statue vengono distrutte».
Queste parole, pronunciate dal primo cittadino goriziano Rodolfo Ziberna, equiparano le intenzioni e le azioni di chi ha proposto la mozione e di chi l’ha sostenuta alla furia iconoclasta dei talebani. Ma il sindaco non si è limitato ai talebani: ha tirato in ballo anche Nerone, Domiziano, Commodo, la cancel culture su Cristoforo Colombo, la distruzione della biblioteca di Alessandria, i roghi organizzati nel 1933 dagli studenti nazisti e Nino Bixio finito in Indonesia, uno sciorinamento di citazioni, nomi e date senza freni e, secondo me, senza senso che puzza tanto di Chat Gpt. Uno straripamento che ha colpito perfino Gian Antonio Stella del Corriere della Sera. L’autorevole giornalista, non esattamente un bolscevico, nel suo pezzo intitolato “La scritta Tito, i silenzi sul Duce”, nota un’altra questione, non certo secondaria: la colpevole assenza, nelle parole del sindaco, del riferimento agli slavi. Eh sì, perché a Gorizia la revoca della cittadinanza onoraria al Duce assume un altro peso rispetto ad altre città italiane.
Fatto, peraltro, ricordato nel testo della mozione, nel passaggio in cui si ribadisce come l’Amministrazione comunale di Gorizia “non possa dimenticare il tributo di sofferenza della comunità nel corso del Ventennio fascista e in special modo negli anni della Seconda guerra mondiale e della lotta di liberazione dal nazi-fascismo, e che nel nostro territorio si produsse un fascismo di confine, variante locale del movimento politico caratterizzata da ulteriori pesanti connotazioni razziste e anti-slave”.
Fascismo di confine efficacemente rappresentato da queste parole pronunciate proprio dal cittadino onorario Benito Mussolini: “di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. Io credo che si possano più facilmente sacrificare 500mila slavi barbari a 50mila italiani».
Come non considerare tutto ciò? Come mantenere l’onorabilità di una persona che, oltretutto, non è in alcun modo legata all’amministrazione per il suo impegno o le sue opere, come previsto dallo stesso regolamento comunale? Come non considerare la revoca un’azione divenuta ancora più urgente alla vigilia del 2025, anno in cui, assieme a Nova Gorica, il Comune di Gorizia è prima Capitale Europea della Cultura, dopo un percorso di riconciliazione tra la comunità italiana e quella slovena, divise nel ‘900 a causa della politica del fascismo?
La risposta è semplificando e banalizzando la questione, relegandola a un passato stantio che non è mai passato veramente, tantomeno divenuto stantio, sminuendone le influenze sull’oggi, utilizzando argomentazioni inefficaci, trite e ritrite perché sono quelle adoperate da tutte le forze politiche che si sono opposte alla revoca, in qualsiasi città essa sia stata proposta.
«A Salò ci sono temi assolutamente più rilevanti», tuonano le opposizioni della cittadina lombarda. Ma esempi di benaltrismo un tanto al chilo ne abbiamo anche a Gorizia; la mozione viene definita come “strumentale”, “ideologica”, addirittura «folcloristica» (Erminia Bonfanti di Salò 2.0) e si paventa addirittura un possibile ricorso al Tar perché il consiglio comunale non ha un regolamento riguardante la revoca della cittadinanza onoraria. Anche a Gorizia il primo cittadino tira in ballo l’ideologia: «interverrò io a nome della maggioranza per cercare di ottimizzare i tempi di un dibattito che ritengo […] inutile per i cittadini e per la città perché corrispondente esclusivamente […] alla dialettica politica […] e agli interessi politici di chi non è in grado di comprendere le necessità di scrivere nuove pagine di storia e non cestinare le vecchie, aggiungere nuove pagine a quelle vecchie, nuove pagine di storia anziché alzare steccati ideologici attraverso la negazione della storia».
A Casalecchio di Reno, un altro Comune che pochi giorni fa ha revocato la cittadinanza onoraria a Mussolini, Fratelli d’Italia decide di non presentarsi in aula in occasione della votazione, perché ritiene “che demonizzare una ideologia, per quanto controversa e discutibile, sia un fatto da stupidi” e si chiede se “ci siano esponenti del comunismo che oggi meriterebbero la revoca”. Viene definita “discutibile” una politica che condusse l’Italia alla Seconda guerra mondiale a fianco della Germani nazista, rendendosi così responsabile di morti, distruzioni, fame e miseria.
Argomentazioni debolissime, utilizzate qua e là con un becero copia-incolla, ma almeno argomentazioni, quelle che a Gorizia non abbiamo sentito avendo il sindaco con il suo discorso monopolizzato l’arena politica. Perché questo silenzio, anche dell’area cattolica? Per imbarazzo? Per ordini di scuderia?
Le domande che restano senza una risposta sono tante, ma fra tutte una è quella che ritengo più significativa: che problemi ha la destra nel 2025 a tagliare il cordone che la lega a Mussolini e al Fascismo? Da partiti regolarmente costituiti e rappresentati nelle assise democratiche non dovrebbero averne. La nostra Carta costituzionale è nata dall’antifascismo e nella XII disposizione transitoria e finale vieta la riorganizzazione del Partito Nazionale Fascista.
Sottolinearlo dovrebbe essere non necessario, quasi ridondante, eppure così non è. Lo ha ricordato anche il sindaco di Salò che la faccenda nulla ha di anacronistico. Si pensi al fatto che è stato scortato assieme ad altri consiglieri all’interno dell’aula e che, fuori, c’era una contromanifestazione della destra estrema. Due gatti, per carità, così come succede anche a Gorizia quando il Comune ogni anno accoglie istituzionalmente la Decima Mas, ma non come quando si radunano e si ritrovano in migliaia ad Acca Larentia, tra marce, cori e saluti a braccio teso.
È questo ciò che dovrebbe preoccupare: gli ammiccamenti dei partiti di destra nei confronti di questi gruppi estremisti che con nonchalance si definiscono i fascisti del terzo millennio. Anche a Gorizia abbiamo ricordi di simpatie discutibili, se non pericolose, di quando l’Assessora al welfare del Comune di Gorizia salì sul palco di CasaPound in occasione di una manifestazione in città.
Ma a destare preoccupazione dovrebbe essere anche il comportamento di chi, lavandosene le mani, ha deciso di non partecipare al voto perché Gorizia, dopo ben cento anni dal conferimento, non sarebbe ancora pronta per voltare pagina. Questo chiamarsene fuori mi ha ricordato le parole di Don Lorenzo Milani: “un fascista e dieci qualunquisti fanno undici fascisti”.
Fra pochi giorni sarà la volta di Brescia e sono sicura che tante altre città si aggiungeranno alla lista dei Comuni che con un sussulto di dignità avranno il coraggio di mettere un punto e cominciare un nuovo capitolo. Non un altro libro, perché è vero che la storia non si cancella, ma evolve ed è testimone della cultura del tempo. Una cultura che nel 2025 dovrebbe essere, prima di ogni altra cosa, antifascista.