LA GLOBAL SUMUD FLOTILLA E IL GLOBAL MOVEMENT TO GAZA: CONSIDERAZIONI A MARGINE

LA GLOBAL SUMUD FLOTILLA E IL GLOBAL MOVEMENT TO GAZA: CONSIDERAZIONI A MARGINE

di SERGIO PRATALI MAFFEI

 

Questo testo costituisce una rivisitazione dell’intervento pronunciato in apertura della manifestazione che si è tenuta il 6 settembre al molo Audace di Trieste, in sostegno della missione della Global Sumud Flotilla verso Gaza.

 

Facciamo torto a Gaza quando la trasformiamo in un moto perché potremmo odiarla scoprendo che non è niente più di una piccola e povera città che resiste.

Faremo torto a Gaza se la glorificassimo, perché la nostra fascinazione per lei ci porterà ad aspettarla.

Ma Gaza non verrà da noi, non ci libererà.

Non ha cavalleria, né aereonautica, né bacchetta magica, né uffici di rappresentanza nelle capitali straniere.

La resistenza a Gaza non si è trasformata in una professione.

La resistenza a Gaza non si è trasformata in un’istituzione.

Non ha mai creduto di essere fotogenica, né tantomeno di essere un evento mediatico.

Non si è messa in posa davanti alle telecamere sfoderando un sorriso stampato.

La ferita di Gaza non si è trasformata in pulpito per le prediche.

Gaza è dedita al dissenso: fame e dissenso, sete e dissenso, diaspora e dissenso, tortura e dissenso, assedio e dissenso, morte e dissenso.

I nemici possono avere la meglio su Gaza.

Possono tagliarle tutti gli alberi.

Possono spezzarle le ossa.

Possono gettarla a mare, nella sabbia o nel sangue.

Ma lei: non ripeterà le bugie.

Non dirà sì agli invasori.

 

Sono parole di Mahmud Darwish, definito da Saramago “il più grande poeta del mondo”.

E sono queste le parole che voglio affidare al mare, seppure simbolicamente, come segno di vicinanza – e di rispetto – al popolo palestinese.

 

Sono state moltissime le adesioni di sindacati, partiti, associazioni, circoli, comitati a questa manifestazione regionale a sostegno della missione della Global Sumud Flotilla diretta a Gaza.

 

In tutta Italia si sono organizzati eventi e supporto della missione e dei volontari che si sono imbarcati, mettendo a rischio la propria incolumità, e la stessa cosa abbiamo voluto promuovere nella nostra regione, come Global Movement to Gaza, che per mesi ha lavorato nella preparazione della missione. Un gruppo nato dalle ceneri della Global March to Gaza del giugno scorso e dal fallimento del suo tentativo di raggiungere il valico di Rafah, ostacolato e impedito dal governo egiziano che ha espulso centinaia di attivisti provenienti da tutto il mondo e bloccato migliaia di manifestanti che viaggiavano via terra, fermati al confine con la Libia.

 

Da tale esperienza, e dal contributo di altri volontari della Freedom Flotilla Coalition, della Màghreb Sumud Flotilla e dell’asiatica Sumud Nusantara, è nata la Global Sumud Flotilla, la più grande missione marittima civile mai tentata verso Gaza, costituita da persone comuni, attivisti, giornalisti, medici, parlamentari e personalità dello spettacolo, con l’obiettivo di tentare di rompere l’assedio e stabilire così un canale umanitario stabile e sicuro in grado di soddisfare i bisogni primari e le richieste d’aiuto provenienti dalla Palestina.

 

Solo a pochi giorni dalla partenza tutti sono venuti a sapere della missione, alla quale in realtà si è lavorato per mesi. E se tutti sanno della partecipazione di 4 onorevoli italiani, quelli che pochi sanno è che tra chi si è imbarcato c’erano anche dei giovani ragazzi di Extinction Rebellion e di Ultima Generazione, due movimenti nonviolenti contro i quali è stata recentemente varata una legge sulla sicurezza dai contenuti liberticidi, che non può non ricordarci il codice Rocco.

 

I partecipanti alla manifestazione del 6 settembre hanno portato al molo un messaggio, inserito in una bottiglia di vetro da affidare al mare e inviare simbolicamente a Gaza. Un gesto pensato anche per ricordare un’analoga iniziativa che gli stessi palestinesi avevano avviato nel 2022, in occasione del quindicesimo anniversario dell’assedio israeliano alla Striscia di Gaza, quando giovani attivisti si erano riuniti sulla spiaggia, scrivendo biglietti che esprimevano resilienza e determinazione, poi arrotolati e inseriti in piccole bottiglie, prima di gettarli nel Mar Mediterraneo. I messaggi erano indirizzati a persone di tutto il mondo, con la speranza di attirare l’attenzione sulle difficoltà vissute dagli oltre due milioni di abitanti assediati di Gaza.

In realtà non è stato gettato nulla in acqua: le bottiglie sono state raccolte e ne è stato realizzato un catalogo digitale, che ne riporta anche il contenuto, poi diffuso nel web, in modo tale da poter raggiungere direttamente la Palestina.

 

Ma cerchiamo di contestualizzare ciò che sta avvenendo a Gaza e il senso della missione della Global Sumud Flotilla, che vuole anche supplire a indifferenza e inazione di governi e istituzioni internazionali.

 

Siamo passati da “tempi interessanti”, che ci ricordano Žižek e la maledizione cinese, direttamente a “tempi bui”. Ci siamo illusi di aver sconfitto per sempre ideologie e pratiche del fascismo e del nazismo, peraltro sostenuti dal capitalismo, e ci ritroviamo oggi con l’uomo più potente del pianeta che sta praticando politiche repressive mai adottate prima d’ora nel suo paese, e che ogni giorno ci ammorba con le sue armi di “distrazione” di massa. E ovviamente li nostro paese è il suo più stretto alleato in Europa. Mentre il primo ministro israeliano applica a Gaza metodiche di tipo nazista, con una cerchia di fedelissimi che potrebbero tranquillamente indossare la divisa della Gestapo o delle SS.

 

Intanto nel vecchio continente, che si sta riarmando contro un nemico immaginario, impoverendo il suo popolo, dopo averlo sottomesso al pensiero unico, abbiamo una Von der Ley(d)en che ha fatto la sua carriera politica come ministro tedesco della difesa, e un Crosetto che un attimo prima di giurare sulla costituzione davanti a Mattarella ha ricevuto 1 milione di euro di buonuscita quale consulente della Leonardo. Due dati che ci possono chiarire immediatamente, forse più di altri, qual è la direzione che stiamo intraprendendo in Europa e perché.

 

Abbandono quindi il mio ruolo di referente e portavoce del Global Movement to Gaza per il Friuli Venezia Giulia, per esprimere sinteticamente qualche pensiero personale.

 

Il primo in realtà è una fantasia, che ho sviluppato in questi mesi, partecipando prima alla Global March to Gaza e poi allo stesso Global Movement to Gaza. Un movimento mondiale intorno al quale, in poche settimane, si sono unite oltre centomila persone di tutto il mondo.

 

Vi ricordo da cosa era nato il Sessantotto: sì, da un’invasione assurda, quella del Vietnam da parte degli Stati Uniti. Da lì partì la protesta, estesa poi a una contestazione che reclamava una radicale trasformazione della società sulla base del principio di uguaglianza, l’opposizione ai poteri costituiti in nome della partecipazione popolare alle decisioni, l’opposizione al capitalismo e alla società dei consumi, la liberazione dei popoli sotto il giogo coloniale, la lotta al militarismo delle grandi potenze, l’eliminazione di ogni forma di oppressione sociale e di discriminazione razziale. Anche se sappiamo tutti, e proprio a Trieste più che altrove, che le razze non esistono.

 

Credo che oggi ci ritroviamo in una situazione per certi versi simile. Con un unico aspetto positivo, che è costituito dalle dimensioni che stanno raggiungendo anche oggi le manifestazioni di protesta in tutto il mondo. Proprio a partire dal rifiuto di assistere passivamente a un genocidio, che costituisce solo la punta dell’iceberg di un sistema di potere che ci sta portando verso una catastrofe senza ritorno, che è in primis una sorta di disumanizzazione di massa.

 

Voglio poi ipotizzare tre inversioni di alcuni pensieri e slogan comuni, che a mio avviso hanno perso il loro significato originario.

 

Il primo: “pensa locale, agisci globale”. Gli effetti del capitalismo, dalle guerre ai cambiamenti climatici, toccano ormai le comunità di ogni luogo del pianeta. Non è più sufficiente agire quindi al livello dei singoli territori per cercare di cambiare effettivamente le cose. Se oggi a Trieste posso salvare un albero, nello stesso momento in Amazzonia rischiamo di raggiungere, proprio a seguito del taglio di un singolo albero, uno dei sedici punti di non ritorno per l’umanità. Quello che dobbiamo cercare di ottenere è allora un cambiamento globale del sistema di potere, che oggi mostra con evidenza tutti i suoi limiti e la sua ingordigia, tanto da mettere a rischio la sopravvivenza del pianeta e dello stesso genere umano.

 

Il secondo: “noi siamo l’1 per cento e loro il 99”. Ci siamo illusi che fosse il contrario, almeno dal 2011, quando lo slogan venne coniato nel corso delle proteste davanti alla borsa di Wall Street. Intendiamoci: sì, è vero, i cosiddetti ricchi che detengono il potere sono una ristrettissima minoranza, ma hanno un enorme seguito, spesso silente o indifferente, che gli consente di continuare a prosperare. Mentre noi, che manifestiamo, che manteniamo uno spirito critico, che ne siamo consapevoli, costituiamo una sparuta minoranza. Se solo fossimo un po’ di più a lottare, almeno il 3,5% ci dicono gli storici delle rivoluzioni nonviolente, potremmo finalmente contare davvero qualcosa.

 

Il terzo: “finché c’è speranza c’è vita”. Apparentemente il più scontato, ma è solo la convinzione che si possa, o meglio si debba, cercare di cambiare le cose che ci mantiene, davvero, vitali, che ci può far dire che, nonostante tutto quello che accade, valga ancora la pena vivere, almeno nel senso di un vivere collettivo, per un bene comune, con uno spirito di condivisione e di sussidiarietà. Insomma di un vivere per noi che sia anche un vivere per gli altri, in primis gli oppressi, come oggi sono i palestinesi, con modalità mai viste prima nella storia dell’umanità. O di quel che ne resta.

 

Chiudo con un appello ai credenti, di tutte le fedi religiose: rivolto ai fondamentalisti evangelici, che hanno contribuito in maniera determinante all’elezione di Trump; ai cattolici, che alla convention di Rimini hanno applaudito indifferentemente Salvini, la Meloni e Draghi; agli ebrei ortodossi, che continuano a sostenere Netanyahu, ai fondamentalisti islamici che vantano alcuni tra i governi più repressivi del pianeta. Un semplice appello al buon senso, alla moderazione, alla tolleranza, all’apertura nei confronti del diverso, alla pace.

 

Sì, va bene, restiamo umani. Ma allora, aggiungo: umani di tutto il mondo unitevi, prima che sia troppo tardi, perché uno spettro si aggira oggi per l’Europa e per il mondo, e non è lo spettro del comunismo, ma quello della guerra e del nazifascismo!

 



Articolo originale in Italiano.