IN MONTAGNA SIAMO SEMPRE OSPITI

IN MONTAGNA SIAMO SEMPRE OSPITI

di NEVIO COSTANZO

 

Parto ancora una volta in treno. È una domenica d’agosto e la stazione di Gorizia centrale è affollata: tra i viaggiatori, diversi hanno con sé la bici, come me. Il treno per Trieste arriva con qualche minuto di ritardo, ma riesco comunque a prendere la coincidenza a Udine per Tarvisio. I pochi vagoni dedicati alle bici si riempiono velocemente: con pazienza e grazie anche all’aiuto del personale, troviamo tutti un posto. Dal finestrino scorrono veloci paesaggi noti: il Tagliamento, la valle del Fella con le sue acque cristalline, le montagne che annunciano già le Alpi Giulie. Le fermate di Gemona, Venzone, Carnia, Pontebba, Ugovizza Valbruna si susseguono, e nelle carrozze, i discorsi ruotano sempre attorno a viaggi in bici, dettagli tecnici, percorsi da scoprire.

A Tarvisio Boscoverde il viaggio su rotaia finisce. La maggior parte dei ciclisti sceglie di imboccare la ciclovia Alpe Adria in direzione Tarvisio, la più conosciuta e frequentata della Regione.  Un caffè dalla “macchinetta”, – dal sapore anonimo, non c’è altro – e poi via, in sella.

Il cielo alterna nuvole e sole: una giornata da “vestirsi a cipolla”. La ciclabile verso Rateče, ricavata sul vecchio sedime ferroviario (parte della Rudolfiana), è una delle più belle che conosca, sempre suggestiva, ma la consiglio soprattutto in autunno, quando il bosco si accende di foglie dorate e croccanti, scricchiolano sotto le ruote. Poco prima del confine devio, su una ciclabile, come dovrebbe essere, verso i laghi glaciali di Fusine dal colore verde smeraldo: la strada attraversa la torbiera di Schichizza, un habitat prezioso solcato da ruscelli, le cui acque confluiscono poi nel bacino idrografico del Danubio, come il Rio del Lago, emissario del lago inferiore. 

Più avanti, lungo la carrozzabile che porta ai laghi di origine glaciale, si alternano bici, pedoni  e auto, fino a quando l’asfalto lascia spazio allo sterrato della strada forestale. Ponticelli in legno, conifere e latifoglie, cespugli di mirtilli e lamponi ormai spogli di frutti che raccontano il passaggio delle stagioni. La foresta regionale di Fusine regala profumi e dettagli che si colgono solo rallentando.

La strada sale verso la capanna Ghezzi e il rifugio Zacchi, meta di molti escursionisti. Io scelgo invece la deviazione per la Malga Alpe del Lago, con i suoi pascoli secolari, proprietà del “Consorzio Pascoli dei Privilegiati Proprietari di Fusine in Valromana”, come recita una delle tante tabelle.

La particolarità di questo consorzio è che la piccola valle ai piedi del Mangart veniva utilizzata, fin dal Medioevo, come pascolo estivo per bovini, equini e ovini. In epoche più recenti, con una patente imperiale del 1853 furono definite le regole per l’utilizzo, da parte di privati e consorzi, dei terreni pubblici dell’Impero Austriaco. Successivamente, con una legge del 1907 – tuttora vigente – si giunse a una regolamentazione più dettagliata dell’uso di tali terreni.

Da qui si apre la vista sul Mangart e sul lago superiore. Scatto qualche foto, sapendo già che nessuna immagine potrà racchiudere davvero la magia di questo luogo: il silenzio che avvolge, i suoni sottili della Natura, la vita che pulsa nascosta tra alberi e rocce. Poi riprendo la forestale che scende, anche ripidamente poco prima di Aclete, piccolo borgo ai margini del bosco. Da lì rientro sulla ciclabile della vecchia ferrovia Rudolfiana, proseguendo fino all’ex stazione di Tarvisio Centrale e poi ancora verso Carnia sulla FVG1.

È stata una bella esperienza questa escursione in bici (muscolare) nella foresta regionale di Fusine. Ma mi ha lasciato anche una domanda.

La bicicletta è indubbiamente un mezzo ecologico, capace di ridurre l’impatto ambientale e favorire uno stile di vita attivo. Tuttavia, il suo utilizzo in montagna pone alcune questioni. Sui sentieri stretti, infatti, la presenza delle bici può generare conflitti con gli escursionisti a piedi e aumentare il rischio di incidenti, oltre a incidere sulla conservazione dei tracciati. Diversa appare invece la situazione sulle strade forestali, dove gli spazi più ampi permettono una convivenza più serena tra ciclisti e camminatori, a condizione che vi sia attenzione e rispetto reciproco.

Eppure, incrociando i loro sguardi e rispondendo ai saluti — Ciao, Doberdan, Grüß Gott — mi sono chiesto se stessi attraversando questi luoghi con il mezzo giusto. Uno sguardo severo me lo ha ricordato meglio di tante parole. In montagna siamo sempre ospiti: serve rispetto, attenzione, la leggerezza di chi passa quasi in punta di piedi. Perché anche se appare forte, la montagna è fragile, e ogni nostro passo — o pedalata — lascia comunque un segno.



Articolo originale in Italiano.