LE ALPI GIULIE E L’IDEA DI EUROPA

LE ALPI GIULIE E L’IDEA DI EUROPA

di FULVIO “MARKO” MOSETTI

Marzo 1953, la morte di Stalin chiude gli anni di tensione tra l’Unione Sovietica e la Repubblica Federativa di Jugoslavia che si sono succeduti dalla decisione di Tito, nel 1948, di distaccarsi dal blocco comunista dell’Est Europa. Tensioni che si erano inevitabilmente riflesse anche sui rapporti delle popolazioni e sui confini della nostra regione con l’allora Jugoslavia. Il territorio di Trieste, la cosiddetta Zona A, era ancora sottoposto al controllo e al governo alleato. Le manifestazioni, anche con vittime civili e militari, della popolazione di madrelingua italiana della città erano frequenti. E non aveva contribuito a rasserenare gli animi la vittoria, nel 1952, del festival di Sanremo dell’apparentemente innocente “Vola Colomba” interpretata da Nilla Pizzi. Non è da dimenticare che in questi territori, lungo questo confine, nei precedenti quarant’anni si erano combattute due guerre sanguinose intervallate da un regime che aveva nella sua cifra la divisione, la violenza, la sopraffazione tra i popoli.

È in questo clima certamente non sereno che il 3 agosto 1953 veniva inaugurato in Val Trenta il monumento a Julius Kugy. Avvocato e imprenditore, ma più noto come alpinista e scrittore, triestino ma nato, per casualità, a Gorizia a Palazzo Coronini Cronberg nel 1858 che, pur avendo gran notorietà soprattutto nei paesi del centro ed est Europa grazie ai suoi poetici scritti dedicati alle Alpi Giulie, dall’annessione di Trieste al Regno d’Italia in seguito alla Prima Guerra mondiale fu silenziosamente isolato dall’ambiente alpinisti italiano. Le ragioni si possono individuare nella sua non ben accetta sovranazionalità, parlava le tre lingue locali essendo figlio di un carinziano e di una slovena; si accompagnava nelle sue escursioni alpine indifferentemente con guide slovene e friulane; aveva prestato volontariamente la sua esperienza alpinistica all’esercito austro-ungarico durante la Prima Guerra mondiale come istruttore delle truppe alpine. Pur avendo dichiarato la sua fedeltà al nuovo Stato continuava a venir visto con sospetto e considerato non italianissimo come, proprio con il superlativo assoluto, si richiedeva ai nuovi sudditi del Regno. Così, dopo la sua morte avvenuta nel 1944, la sua memoria, nella sua città e regione, subì una sorta di dannazione: rinchiuso, dimenticato e sepolto in una segreta della Storia.

In quel lontano lunedì d’agosto, all’inaugurazione del monumento al cantore delle Alpi Giulie, nel clima non certamente sereno del momento politico e sociale, l’idea di sovranazionalità e fratellanza alpina così cara a Kugy ritorna a prevalere. Attorno all’uomo di bronzo che, seduto su un masso, guarda con nostalgia alla vetta dello Jalovec si incontrano i vecchi amici che quel vecchio avevano conosciuto. I carinziani Karl Kuchar e Hermann Wiegele, lo sloveno Miha Potočnik, il friulano Giovanni Spezzotti e Mario Lonzar per la sezione del Club Alpino Italiano di Gorizia. L’incontro è un seme che darà frutti qualche anno più tardi quando, nel 1965, si terrà a Villach il primo Convegno “Alpi Giulie”. Convegni che da allora si ripetono annualmente e nel corso dei quali i rappresentanti delle tre associazioni alpinistiche contermini Club Alpino Italiano Delegazione del Friuli Venezia Giulia, Oesterreichischer Alpenverein Landesverband Kärnten, Planinska Zveza Slovenije, discutono i problemi delle loro montagne. Questo è, forse, il lascito più importante di Julius Kugy, riavvicinare attraverso l’amore per i monti popoli che nazionalismi, ideologie, guerre avevano diviso.

Dall’idea, in quegli anni di chiusure, di rendere libero il passaggio sui monti di confine agli alpinisti, sono discese altre importanti iniziative che negli anni dal mondo degli appassionati della montagna sono passate a quello della politica, intesa come nobile arte. L’idea di Europa pare essere, oggi ancor di più, ben più presente sui sentieri di montagna e nei rifugi alpini piuttosto che nelle Cancellerie e nei Ministeri. Tra il 1964 e il 1965 furono lanciati i primi segnali e si aprirono relazioni e dialogo tra il Comune di Gorizia e quello di Nova Gorica. Promotore e protagonista di questi primi, difficoltosi e coraggiosi, passi l’allora Sindaco Franco Gallarotti che, guarda caso, era anche socio attivo della sezione cittadina del Club Alpino Italiano. Non credo sia sbagliato ipotizzare che la spinta a tali iniziative istituzionali possa essere stata ispirata anche dalle concomitanti aperture del mondo alpinistico transfrontaliero. La montagna intesa come fatto culturale ha rappresentato un punto importante anche nella vita politica cittadina fino a tempi relativamente recenti. Le prove si possono vedere osservando le foto di gruppo delle gite sociali della sezione cittadina del CAI, dove fino alla fine degli anni ’70 si possono riconoscere personaggi noti della vita politica, sociale, culturale, di maggioranza e opposizione, uniti in un comune ideale.

 

Oggi tempi e uomini sono mutati e il rapporto di Gorizia con la montagna è visto come qualcosa di marginale, dimenticando i suoi valori umani, sociali, culturali, poetici e politici. Sottovalutazioni che riflettono la decadenza della comprensione che la montagna e l’alpinismo hanno avuto e tutt’ora hanno per la vita di tutti noi che in queste terre viviamo. Montagna e alpinismo che non sono solamente fatti ludicosportivi ma, egualmente, rapporti culturali, sociali, politici. Fu così che nel 1967 per volontà e iniziativa della sezione di Gorizia del CAI, segnatamente dell’allora Presidente Mario Lonzar e di Celso Macor, che venne riedito il testo classico dell’opera di Kugy “Dalla vita di un alpinista” nella ineguagliata traduzione di un altro grande goriziano, Ervino Pocar. E questa data segnò i nuovi natali goriziani del poeta delle Alpi Giulie.

 

La memoria viva di Julius Kugy attraverso la pubblicazione e diffusione dei suoi scritti, gli incontri che gli vengono dedicati, i Convegni “Alpi Giulie” che dal 1965 annualmente si susseguono – pur ora con nuova denominazione ma con immutato spirito -, l’impegno e il ricordo tanti studiosi, intellettuali, politici e semplici appassionati, hanno contribuito, in continuità tra passato e presente, a colmare fossati e costruire ponti tra le genti. Della montagna e non solo. Ma hanno altresì contribuito, togliendo pietra dopo pietra, a demolire quegli anacronistici muri che erano stati eretti su una terra che, come scrisse Celso Macor, era “creata perché non avesse confini”.

È partendo dalle montagne che la circondano che può partire la rilettura del destino culturale e storico di Gorizia per consentirle di riappacificarsi con la propria storia e di progettare un futuro coerente con la propria vocazione geopolitica. Lo straordinario risultato di Nova Gorica-Gorizia, unite pur divise da un confine di Stato, Capitale Europea della Cultura 2025 è il frutto di un cammino partito da lontano e di non poche difficoltà. Un cammino che è passato anche sulle creste e le cime dei nostri monti. È mia convinzione che una parte, e non poca, del merito di questo successo vada attribuita all’eredità culturale, morale, civile di Julius Kugy e di quegli uomini che hanno avuto la forza e la lungimiranza di farla propria.



Articolo originale in Italiano.